giovedì 28 febbraio 2008

OLINDO'S WORDS (O MEGLIO, WORLD)

Interrogatorio in carcere dell’8 gennaio 2007.

Pm Massimo Astori: Signor Romano, si rende conto che lei è accusato di reati per cui resta in carcere tutta la vita?
Olindo Romano: Bene, vitto e alloggio gratis!

ROSA C'E'

In aula il piemme Massimo Astori sta facendo sentire l'audio degli interrogatori integrali dell'8 gennaio. Seguiranno quelli del 10 gennaio, quelli delle confessioni.
Rosa Bazzi sembra particolarmente provata.
Questa mattina è corsa la voce che volesse presentare dichiarazioni spontanee.
C'è stato un consulto con gli avvocati difensori, i quali hanno chiesto che l'esame dell'imputata sia spostato a prossima udienza, dopo colloquio con la psicologa del carcere.

PARLA OLINDO 2

Il 10 gennaio fu il giorno più brutto della mia vita.
Quando vennero i carabinieri mi dissero, si rende conto di cosa avete fatto, cosa è successo… Ma la cosa più brutta fu quando ci dissero cosa ci aspettava. Ci dissero che ci aspettava l’ergastolo, che ci avrebbero separati per sempre. Ma io non potevo sopportare di non vedere mai più mia moglie. Ma, io ho soltanto mia moglie nella vita. Poi mi misero davanti una secondo prospettiva: se fai il pentito, con le attenuanti, tra cinque anni sei fuori. Ero davanti a un bivio. Il maresciallo Finocchiaro per fortuna ogni tanto cessava il suo martellamento, usciva per alcuni istanti. Quando uscì una volta Finocchiaro, all’altro parlai dei dettagli della strage, dell’incendio, delle armi. La cosa brutta era quando tornava Finocchiaro. Continuavamo a parlare delle due prospettive, del pentimento, dell’ergastolo e così…
Passarono due o tre ore. Ero curioso di sapere dove andasse Finocchiaro tutte le volte che usciva. Lo capii soltanto dopo due o tre giorni. Io non lo sapevo, ma in un altro locale vicino c’era mia moglie e stavano facendo la stessa cosa con lei. Mentre mia moglie mi sentiva, Finocchiaro usciva da me e andava da mia moglie, me l’ha detto mia moglie quando abbiamo parlato.
Dopo due o tre ore ero confuso, disperato, con la prospettiva di non vedere più mia moglie, non avevo nessuno a cui chiedere un consiglio, cosa faccio, cosa non faccio, scelsi per il minore
dei mali, piuttosto che non vedere più mia moglie preferivo stare in galera 5 anni. Allora dissi a Finocchiaro: guardi, chiami il giudice, il piemme, chi deve. Ma cosa confessavo? Noi non abbiamo ucciso nessuno! Ma stiamo scherzando? Allora dovevo inventarmi qualcosa. Allora dovevo dire le notizie che avevo raccolto nel mese prima che mi arrestassero. Misi insieme quello che avevo letto, i pettegolezzi e tutto e ho messo insieme una confessione. Arrivò il piemme e entrai io, ma io volevo vedere mia moglie per dirle che cosa avevo deciso di fare. La vidi per cinque minuti, le spiegai le due prospettive. Lei non era tanto d’accordo. Ma lei non era d’accordo: ma Olly – mi diceva - noi non abbiamo fatto niente. Ma i piemme chiamarono mia moglie. Mia moglie entrò confessò lei, ma cos’ha fatto? Si è assunta tutta la responsabilità. Uscita lei entrai io, mi fecero sentire cosa avevo detto mia moglie, io allora feci una cosa automatica, mi assunsi io tutta la responsabilità. Allora i magistrati non erano convinti, perché c’erano cose che non combaciavano. Mi dissero: faccia una pausa e ci pensi su bene. Andai in un altro locale, mi ritrovai Finocchiaro e Cappelletti che mi dissero: se vuoi fare il pentito devi farlo fino in fondo: devi coinvolgere anche tua moglie. Rientrai, ripresi la testimonianza che avevo già fatto e corressi alcune cose. Alla fine della serata firmammo dei fogli, ci fecero sentire le nostre confessioni e finì lì.
Salutai mia moglie e tornammo nelle celle.
Dopo una settimana ci concessero dei colloqui, due ore il giovedì mattina. Visto che avevamo fatto la scelta di fare i pentiti, dovevamo fare i pentiti fino in fondo e le assicuro non è una cosa semplice.
Nel mese di febbraio si presentò il professor Picozzi e mi chiede se posso essere ripreso, gli dico faccia pure. Lì, abbiamo ricalcato la confessione, chiamiamola falsa, perché dovevamo sostenere la tesi dei pentiti. In cuor mio speravo che Picozzi capisse la situazione in cui ci eravamo cacciati, ma invece non capì nulla. Niente, siamo andati avanti a fare i pentiti, anche con la gente in carcre e pensi un po’ lei il disprezzo che avevano verso di noi, perché avevamo confessato di aver ammazzato anche un bambino, ci trattavano come una bestia. Fino a maggio è stato un calvario. Soltanto il cappellano, la psicologa e l’educatrice ci hanno aiutato a capire che dovevamo cambiare l’avvocato, grazie alla psicologa sono riuscito a uscire da uno stato rassegnazione e ritrovare la fiducia in me stesso. Sono stati loro a dirci che questa non era la strada che dovevamo seguire. Allora ho deciso di dichiarare la mia innocenza e ho ripreso la mia dignità, che mi avevano tolto, allora abbiamo deciso di lottare per la verità. Questo, basta! E poi quello che viene viene.


Accetta di sottoporsi alle domande delle parti?
Prima Olindo dice: non avrei nulla in contrario. Poi, invitato a pensarci dice: per questa volta, no!

PARLA OLINDO 1

Corte d'Assise: le chiediamo se acconsente alle riprese? Sì.
Accetta di essere esaminato dalle perti?
Io comincerei con una dichiarazione spontanea. Poi, vediamo.

Niente, vorrei ripercorrere il giorno 11 e poi da lì, fino a quando siamo arrivati all’arresto.
Alle 12.15 timbro in ditta, tornato a casa pranziamo, poi poro mia moglie al lavoro per le 14. Alle 16 vado a prenderla e decidiamo di andare a fare una passeggiata al lago del Segrino, ma faceva un po’ freddo e torniamo presto in macchina. Tornati in macchina, mia moglie mi dice: allora stasera mi porti a Como. Ok. Tornati a casa mangio il caffelatte con due brioches, poi esco nella corte a fumare e mi metto nei soliti posti. Sono i soliti perché so che devo buttare i mozziconi nella griglia, ma poi pulisco. Erano circa le 18. Rientro in casa e mi sdraio sul divano, mi addormento, fino a che mi sveglia mia moglie per andare a Como. Ci prepariamo, saliamo in macchina, che era in cortile, era tutto tranquillo, non ho visto nessuno, andiamo a Como. Siamo usciti di casa, potevano essere circa le 20, però non saprei dirlo con esattezza. Mia moglie dice che erano le 7.30. Arrivati a Como facciamo due giri sul lungolago per cercare il parcheggio. Parcheggiato, andiamo in centro, guardando le vetrine. Mia moglie doveva regalarmi delle scarpe. Seguivo mia moglie ma non ero interessato alle vetrine. Mi interessava soltanto quella dei modellini. Arriviamo al Mc Donalds e io per quei panini lì ci vado matto, entriamo e mangiamo. Paghiamo, torniamo alla macchina e torniamo a casa. Arrivati a Erba vediamo tanta folla e la strada transennata. Uno ci ha detto che dovevamo andare a piedi. Allora lasciamo la macchina davanti alla farmacia. Troviamo Nicola che conosciamo e ci informa sommariamente sull’accaduto. Ci dice che c’erano dei morti e che c’era stato un incendio. Andiamo verso casa accompagnati da lui. Chiediamo di entrare, i vigili del fuoco ci accompagnano in casa per vedere se c’erano danni. Danni non ce ne erano, c’era solo un po’ di fumo. Chiediamo se potevamo restare e ci dicono di sì. Poi esco in cortile e Bartesaghi mi chiede la chiavetta per staccare i contatori, io prendo la chiavetta e andiamo a staccare i contatori. Tornando in cortile mi metto in un angolo e vedo il signor Castagna sulla macchina, stava male, era uomo distrutto. Incrociamo gli sguardi e mi vengono in mente le liti, le banalità e mi viene un flash, volevo andare da lui anche per chiedere scusa, ma non ce l’ho fatta. Allora mi sposto. Poi incontro il Vittorio Ballabio, era sconvolto. Stiamo lì a parlare e mi descrive la scena che aveva visto. Dice che è peggio dei film dell’orrore. Poi non stava tanto bene e se ne va. Sarò stato lì fino a mezzanotte, 12 e mezzo. A quel punto mi chiama mia moglie e mi dice, guarda che devi andare a lavorare, vieni dentro e prova a dormire. Rientro e metto le cuffie e mi addormento fino a quando arrivano i carabinieri. Mia moglie arriva e mi dice che c’erano i carabinieri. I carabinieri iniziano a girare per la casa, forse si insospettiscono perché andava la lavatrice, ma per noi era un’abitudine normale, perché di notte si risparmia. I carabinieri prelevano un po’ di roba, indumenti, compresi quelli della lavatrice. Poi ci chiedono di andare in caserma per la deposizione, mia moglie va con loro e io vado a prendere la macchina in piazza. In caserma stiamo lì dalle 3 e mezzo fino alle 16 del pomeriggio. E raccolgono la deposizione. Prima di andar via ci offrono due panini e torniamo a casa. Tornati a casa, non era più una vita normale, infatti il mercoledì successivo veniamo chiamati dai carabinieri di Como e stiamo lì dalle 9 di mattina fino all’una circa. I carabinieri ce li avevamo in casa quasi tutti i giorni. Mia moglie mi chiamava e diceva: guarda, ci sono i tuoi amici. Una presenza costante. La cosa un po’ infastidiva, ma non potevi dirgli niente. Almeno quelli di piantone in cortile ci garantivano sicurezza. La domenica successiva andiamo a mangiare a casa di nostri amici.

TESTIMONI DEL 28 FEBBRAIO (CAMILLERI E BALLAPADRONA)

Angelo Camilleri, carabiniere della stazione di Erba.

Ho avuto la chiamata del primo allarme intorno alle 20.05 dai vigili del fuoco. Ci andammo subito con Gallorini, che, arrivato sul posto, mi ordinò di seguire Frigerio in qualsiasi ospedale lo portassero. Nella notte sono rimasto con Frigerio. Nei giorni successivi sono stato nella corte all’esterno come vigilanza fissa. Non ho svolto attività di indagine.


Maresciallo Gianluca Bellapadrona, stazione cc di Erba. Dà il consenso.

Quando ero nella corte ho evitato l’ingresso ai non addetti ai lavori. Io nella palazzina sono entrato, ma mi sono fermato al pianerottolo dell’appartamento di Raffaella Castagna. Che io sappia, il brigadiere Cascella è arrivato sul posto, ma non è entrato nella palazzina. Anche altri colleghi erano nella corte, ma non sono entrati nella palazzina.

TESTIMONI DEL 28 FEBBRAIO (ROCHIRA)

Vito Rochira. Carabiniere arrivato sulla scena l’11 dicembre. Dà il consenso alle riprese.

Sono arrivato c’era Frigerio sulla lettiga, insanguinato. Ho chiamato la caserma per mettere al corrente il comando della gravità dei fatti.
Verso le 3 e mezzo ci ha chiamati Nesti che era dai Romano, uscimmo io e Gallorini per tornare in via Diaz. Poi siamo tornati in caserma e i coniugi Romano sono venuti con noi. Nella notte non ho partecipato all’ispezione della vettura. Io sono rimasto nell’abitazione. Alle audizioni dei Romano in caserma ero presente ai colloqui. La macchina è stata sequestrata il mattino seguente e ispezionata. Alle 14.21 compilo un verbale di sequestro e di perquisizione dell’auto. La vettura è stata ispezionata dall’appuntato Moschella e dal maresciallo Nesti, io personalmente non ero fisicamente presente. Io ho solo compilato il verbale. Non mi ricordo perché non ho annotato anche il nome di Moschella, che, però, so che era in caserma.
Anche il verbale di un cerotto tolto da un dito della Bazzi l'ho fatto io, ma non l’ho tolto io il cerotto, me l’ha dato il comandante.

Avv. Pacia
Nel verbale, però, si dice che lei ha perquisito la vettura. Perché l’ha firmato lei il verbale?
L’ho compilato io e ho messo anche il mio nome.
Ma perché?
Era un gruppo di lavoro a cui ho partecipato e allora ho compilato il verbale e l’ho firmato.
I coniugi Romano erano presenti alla perquisizione?
Non so.
Sa chi è salito sull’auto?
Non so, credo l’appuntato Moschella.
Le risulta che siano state messe cimici sull’auto?
Non so, non mi risulta.

Avv. Schembri.
Lei si è dimenticato il nome di chi, materialmente, ha svolto la perquisizione e il sequestro.
Era un gruppo di lavoro, Moschella me lo sono semplicemente dimenticato.


mercoledì 27 febbraio 2008

TESTIMONI DEL 26 FEBBRAIO (CORRIAS)

Pino Corrias. Giornalista e scrittore, autore del libro: “Vicini da morire!”. Dà il consenso alle riprese.

Pm Astori: lei al capitolo 21 scrive: “Finalmente lo vedo”. Si riferiva a Olindo Romano? Dove?

Ho visto un video con la registrazione di una “perizia psichiatrica” fatta da Massimo Picozzi nel mese di febbraio. I due raccontano le dinamiche della strage, una confessione.

Li ha visti integralmente?
Per quanto ne so, sì.

Nei virgolettati ha riportato quanto ha sentito dalla voce degli imputati?
Certo.

Quando ha visto il video di Olindo Romano, ha visto anche quello di Rosa Bazzi?
(Viene mostrato un video).
Sì, è il video che ho visto. Ed è lo stesso che ho visto quando ho visto Olindo.

Viene proiettato un video di Rosa Bazzi e si conferma che ciò che ha scritto Corrias è corrispondente.

Avv. Pacia
Tutto ciò che porta virgolettato, l’ha preso dalla fonte?

Vada a pagina 219.
Ok.
Lei afferma: Picozzi lo considera attendibile.
Confermo.
A pagina 63, ultimo periodo, riporta le dichiarazioni di Giovanni Marelli. Conferma?
Sì.
Pag. 64, secondo periodo.
La famiglia Castagna… conferma?
Sì.
Pag.65, metà pagina. “Raffella faceva una vita faticosa…”. Conferma?
Sì.
Pagina 85. Prima parte: Perquisiscono… Conferma?
Sì.
Pag 105. In alto. “Quei due sono molto di più di una coppia…” Conferma?
Sì.
Pagina 108, ultime righe. Intervista impresa edile: 2per me era un ragazzo d’oro…”
Conferma?
Sì.
Pagina. 109. Sorella di Olindo. Conferma?
L’ho riportato da qualche giornale.
Pagina 111.
Pacia fa allontanare Rosa, ma lei si rifiuta. Olindo le dà un fazzoletto, chiude le orecchie e piange.
“Secondo una vaga ammissione della madre, Rosa Bazzi fu violentata da giovane…” Conferma?
L’ho vista in televisione quella dichiarazione.
Pag. 111. Quando replica le viene mal di testa…
L’ho appreso da varie testimonianze.
Pagina 113. Intervista alla signora da cui faceva le pulizie… Pora stela.
Confermo.
Pag. 114, sul finire. “ma specialmente ha ottenuto un marito…
Sono mie considerazioni.
Pag 115. “la Rosa aveva la mania della tecnica fen shui”
Mi è stato raccontato.
Questa sua predilezione per la filosofia, la portava a un’attenzione maniacale?
Non so.
Riferisce di un’intervista rilasciata dall’avvocato Troiano.
Il virgolettato sono parole di Troiano.

Corte d’Assise:
Come ha preso visione dei filmati.
A tutela delle fonti, non intendo rivelarlo.
Pag.64. Conferma?
Sono frasi attribuibili a Carlo Castagna. Me le riferì Pietro.

TESTIMONI DEL 26 FEBBRAIO (PREVIDERE')

Carlo Previderè, consulente tecnico dell’accusa. Dipartimento medicina legale Università di Pavia.

Ho fatto due tipi di accertamenti sulla macchia di sangue che ha dato esito positivo, uno ripetibile e uno irripetibile.
Il giorno 29 ho ricevuto 4 buste di carta con prelievi eseguiti in seguito all’utilizzo del Luminol.
I campioni erano conservati in maniera corretta. Il test del Luminol è un test di orientamento, perché reagisce non soltanto col sangue, ma anche altre sostanze. Di certo, se una sostanza non reagisce, non è di natura ematica. Anche i test successivi sulla macchia sul battitacco hanno confermato la sua natura ematica. Da quella traccia è stato estratto il Dna ed è stato identificato il profilo genetico. Ognuno di noi ha un profilo genetico che nessun altro ha. La probabilità che quella traccia non sia di Valeria Cherubini è di 1/1272milardi. Quindi, è praticamente impossibile che non sia sua. È stato possibile stabilire dunque la natura ematica della traccia 3 (battitacco) tra le 4 repertate. La traccia ha un profilo chiaramente interpretabile con una componente nettamente maggioritaria riconducibile a Valeria Cherubini, e una minoritaria riconducibile a un individuo di sesso maschile.
La Procura ci ha chiesto di consentire la ripetibilità dell’analisi. Perché se si ottengono gli stessi risultati in oltre un esame, il confronto di più positività dà maggiore garanzia al profilo genetico estratto. Anche nella ripetizione dell’esperimento sono stati confermati i risultati dell’esperimento precedente: 90% Valeria Cherubini, 10% componente maschile.
Io ho visto le foto dell’auto soltanto una volta consegnato gli esiti degli esami. Non sapevo dove fossero avvenuti i prelievi.
Non avevamo alcun tipo di condizionamento derivante dal sapere qualcosa inerente l’indagine. E dell’indagine sapevo praticamente nulla.
La grande quantità di acqua versata sull’incendio ha ovviamente influito sulla diluizione delle traccie. Il fuoco e la cenere hanno influito sulla qualità del Dna rintracciato, rendendo quasi impossibile la caratterizzazione del profilo genetico delle tracce rimaste nell’appartamento.
Invece, la traccia repertata sul battitacco della Seat Arosa dei Romano ha una componente molto maggioritaria riconducibile alla signora Valeria Cherubini. È una traccia concentrata, non sporcata o diluita, che ha consentito una serie di analisi anche ripetute. Il fatto che la traccia fosse così concentrata significa che la stessa ha subito pochi passaggi, nel trasporto.

Avv.Pacia:
Ha ricevuto le tracce il 29/12/2007?
Sì.
Sulle buste c’erano etichette che portano la data di prelevamento nel 26/12/2007?
Sì, confermo.

martedì 26 febbraio 2008

TESTIMONI DEL 26 FEBBRAIO (MARIO FRIGERIO)

Mario Frigerio. Unico sopravvissuto alla strage. Non dà il consenso alle riprese.

PM Astori: Ci racconti la giornata dell’11, partendo dal pomeriggio.

Siamo tornati dall’Esselunga verso le 17.45. Mia moglie ha messo a posto la spesa. Verso le 7 abbiamo cenato, come sempre. Poi mi sono messo a guardare la televisione. Verso le 8 mia moglie si è preparata per andare col cane a fare il giretto dei bisogni. Mentre era pronta per uscire abbiamo sentito un urlo strano, ci siamo guardati e abbiamo detto: stanno ancora litigando Raffella e il marito. Le ho detto: aspetta un attimo a uscire, ma dopo l’urlo c’è stato il silenzio assoluto. Dopo 5 minuti, mia moglie ha deciso di uscire. Le urla erano state 3 o 4, ma uno in particolare ci ha colpito perché era un po’ strano, era un urlo di sofferenza. Mia moglie è uscita e mi sono messo a guardare la Tv. Mi sembra stesse iniziando il telegiornale, dopo un quarto d’ora circa mia moglie è rientrata un po’ spaventata e mi ha detto: c’è fumo sulle scale. Allora mi sono messo gli zoccoli e gli occhiali e siamo usciti insieme. Mia moglie era davanti. Dopo due o tre gradini le sono passato davanti io. Dal mio pianerottolo si vedeva il fumo. La nostra porta l’abbiamo lasciata aperta. La televisione l’abbiamo lasciata accesa.
La porta di Raffaella la vedevo bene. Mentre scendevo le scale, si è aperta la porta e mi è apparsa questa persona, che era proprio sulla porta. Il fumo era denso, ma si poteva vedere. Era un fumo bianco. La luce delle scale era ancora accesa. La porta si è aperta lentamente, è apparsa una persona che ho riconosciuto. Era Olindo Romano. Anche mia moglie l’ha visto. Ci siamo avvicinati alla porta. Ero ancora sui gradini quando si è aperta la porta, ho continuato a scendere. Mi è parso di vedere anche la moglie, dietro Olindo. Ma non ne sono sicurissimo. Era lui, il vicino di casa, Olindo Romano.

Pm Astori: Può vedere Olindo Romano e Rosa Bazzi in aula?
Li vedo in aula, sono loro, quei due delinquenti, li riconosco.

Pm Astori: Vada avanti.
Ho fatto gli ultimi gradini e lui mi guardava con due occhi da assassino. Uno sguardo che non riuscirò mai a dimenticare. Uno sguardo che mi sorprese. Quando ho visto Olindo, ho visto che c’era lui e quasi mi sono tranquillizzato. Penso di aver pensato: c’è qui anche lui, per dare una mano. Quando la porta si è aperta, mi sono avvicinato, con fiducia, mi guardava con quegli occhi lì un po’ strani, mi fissava dentro negli occhi, ho l’assoluta certezza che era lui, sono arrivato a un metro da lui e mi ha chiuso la porta in faccia, all’improvviso. Mi sono ulteriormente avvicinato alla porta, è passato pochissimo, si è aperta la porta all’improvviso e mi sono sentito trascinar dentro e mi ha buttato a terra. Mi ha preso per il collo e mi ha picchiato lo zigomo destro sul pavimento, ha iniziato a picchiarmi, sentivo un male terribile, mentre ero giù ho avuto la sensazione come se qualcuno mi passasse a fianco, come un’ombra. Olindo era sopra di me, anche col suo peso mi teneva fermo. Ho visto che ha tirato fuori qualcosa, e sentivo mia moglie gridare “No, no”. Lui mi ha tagliato la gola, e ho sentito ancora mia moglie gridare “Aiuto, aiuto”. Allora lui mi ha mollato e mi ha tagliato la gola. Io ho visto il gesto di Olindo che mi tagliava la gola. Il coltello l’aveva in tasca. Sentivo gridare mia moglie ma non riuscivo a capire dove fosse, sentivo che era vicina. Io volevo chiamare aiuto, volevo chiamare Ramon, ma non riuscivo a muovermi. Mi sembrava che uscisse il sangue uscire a fiotti. Non ce la facevo a muovere niente, volevo andare da mia moglie. La luce fuori si era spenta già quando mi ha buttato giù. Anche all’interno della casa era spenta. Io vedevo dei bagliori, fiammelle. Quando la porta si è aperta, la luce delle scale era accesa. Quando ho visto Olindo la luce era accesa, era lui, ne ho assoluta certezza. Non me la dimenticherò mai quella faccia. Ho avuto la sensazione che fossero due le persone, sono sicurissimo della presenza di Olindo e mi pare anche la moglie, ma quello non posso giurarlo. Mentre lui era sopra di me, ho avuto la sensazione di qualcosa che mi superava sulla sinistra e poi mia moglie che diceva: “No, no, no”. Allora ho capito che c’era anche la moglie. Di lui sono sicurissimo. Disgraziati!
Nessuno parlava. Ho la sensazione che mia moglie avesse cercato di fare qualcosa per me, ma contro di lui, cosa poteva fare? Quando ero a terra, Olindo mi colpiva con qualcosa, perché sentivo un dolore che non ho mai provato. Anche per terra non mi capacitavo di un accanimento così da parte di Olindo, lo conoscevo soltanto di vista. Era choccante che una persona si potesse accanire così tanto su di me. È stato una belva!!!
Non avevo bisogno di riconoscere la corporatura. Io l’ho riconosciuto subito, era lui. Sono sicurissimo che fosse lui.
Quando mi ha tagliato,credo che siano andati via, so che c’è stato il silenzio assoluto, ma io ero choccato. Non riuscivo a muovermi, e il fuoco veniva forte e mi sentivo bruciare, ma non potevo muovermi, ho pensato che stessi per morire.
Ho sentito arrivare qualcuno poi. Ma non so dire dopo quanto tempo, mi è sembrata un’eternità. Il primo che ho visto arrivare era Bartesaghi, l’ho riconosciuto. Non riuscivo a parlare. Mi interessava salvare mia moglie. Allora facevo segno di andare di sopra, ma capivo che non capivano. Volevo dire vai su! Ma non mi sentivano. Dopo un po’ ho sentito che dicevano, qui ce n’è un’altra e ho capito che avevano trovato qualcuno. Ho indicato con tre dita dove fosse mia moglie.
Non ho potuto vedere nulla all’interno dell’appartamento, oltre l’Olindo non vedevo. Le fiammelle le ho viste quando ero per terra. Appena Olindo mi ha tagliato la gola, mi ha buttato là, poi non ho sentito più niente. È arrivata subito una fiammata. Non è passato molto tempo, ma non saprei dire quanto. Lì ho pensato, o muoio dissanguato, o muoio bruciato.
Io speravo che mia moglie fosse viva. Il signor Bartesaghi ha spruzzato qualcosa addosso a me e qualcosa nella casa. Mi hanno portato via su un telo, e quando mi hanno messo sull’ambulanza sono sempre stato cosciente. Non riuscivo a parlare. I primi momenti del risveglio sono stati bruttissimi. Sentivo che l’infermiere mi diceva: “Siamo all’ospedale”, mi stava preparando.
La prima cosa che mi è venuta in mente mentre mi svegliavo era la faccia di quel tipo là. Poi ho rimesso insieme tutto. Quando ho iniziato a parlare con gli inquirenti facevo molta fatica, non uscivano le parole. La mia prima versione è stata che mi ha aggredito l’Olindo, ero sicurissimo, ho descritto corporatura e capelli.

Pm Astori: Ma non ha fatto subito il suo nome.
Perché era talmente una cosa grossa che volevo capire il perché avesse fatto una cosa del genere. Era un vicino di casa, ma non capivo il perché. Volevo capirlo io il perché! Era troppo grossa, una cosa che non avrei mai immaginato che potesse capitare a me.
Ricordo che mi fecero dei nomi dei vicini. Ricordo che quando è uscito il nome di Olindo volevo liberarmi di un peso, e allora ho detto: sì è lui.
La descrizione era la sua, corporatura grossa, faccia grossa, occhi scuri. Alto più o meno come me.

Pm Astori: Quando lei ha incontrato i carabinieri, lei non fece il nome, ma al nome di Olindo si mise a piangere. Ricorda?

Sì. Mi misi a piangere. E quando il carabiniere mi chiese perché stessi piangendo, dissi che era perché l’avevo riconosciuto. Ero sicurissimo che fosse lui, non mi sarò spiegato bene in quei momenti. La mia intenzione era di dire: “E’ lui. E per tutta la vita lo dirò, perché è la sacrosanta verità: è stato Olindo ad aggredirmi. Fino a quando non l’ho detto, non ne ho parlato neanche con i miei figli. Dopo averlo detto, ne ho parlato con loro. Mio figlio mi ha detto: pensaci bene, ma gli dissi che non avevo alcun dubbio.
Io non avevo mai avuto problemi di sorta con loro. Anche per questo sono rimasto molto choccato.

Pm Astori: Negli ultimi giorni sua moglie le ha mai detto di avere paura ad uscire, o le ha riferito di aver incontrato presenze strane sulle scale?
Non aveva paura di nulla, me l’avrebbe detto.

Pm Astori: Del cancelletto che restava aperto sua moglie ne ha parlato con Olindo?
Assolutamente no. Non ha mai avuto contati con loro, perché non c’era nulla tra di noi.
Quando eravamo lì non avevamo mai avuto problemi con nessuno, non avevamo paura di nessuno.
Io non ho mai avuto problemi con la signora Castagna, con suo marito o con i parenti. Mia moglie usciva la sera anche di inverno, ma usciva tranquilla. Sapevo che da parecchio tempo andavano avanti litigi tra Raffaella Castagna e i Romano, ma non sapevo esattamente perché.

Pm Astori: Cosa intendeva dire con “carnagione olivastra”, nella prima descrizione di Olindo?
In quei momenti non riuscivo ad esprimermi, volevo dire che non era pallido, ma nemmeno nero. Non mi veniva un termine migliore e allora l’ho indicato come olivastro. Io ho riconosciuto Olindo da quando ero a metà scala a quando sono arrivato a un metro da lui. Ci guardavamo troppo negli occhi. Era lui, ne sono certo, oltre ogni ragionevole dubbio. Lo dirò sempre. La certezza assoluta che fosse lui è stata immediata, dal primo istante in cui mi sono svegliato. Non dissi subito il nome perché volevo capire io perché mi avesse fatto una cosa del genere. Poi non sapevo come esprimermi bene.

Avv. Schembri
Quando la porta si è aperta. Per quanto tempo è rimasta aperta?
Il tempo di scendere gli ultimi gradini. Attimi.
Un attimo?
No, attimi.

Bordeaux
C’era molto fumo?
Sì, molto, ma non da impedirmi la vista.
Sa da che parte provenisse il fumo?
Non so dirlo, perché era tutto chiuso. Ma cosa volete sapere? Dovreste avere vergogna. Vergognatevi!

Quando la porta si è riaperta, ed è stato aggredito, è riuscito a vedere il suo aggressore?
No, perché mi ha buttato giù subito.

Quando è stato ferito al collo, l’aggressore dov’era?
Era a cavalcioni su di me.

Né lei né sua moglie fumate?
Non fumiamo.
In casa avevate accendini?
Non credo.

Avv.Pacia
Lei ha detto che ha visto Olindo che estraeva il coltello. Ha visto anche la mano?
Io un coltello che esce da solo da una tasca non l’ho mai visto.
Aveva un guanto?
Non so. Poteva averlo, ma non ne sono certo.

Corte d’Assise. Che tg guardava?
Credo il TG5.
Si ricorda come era vestito Olindo?
Non sono sicuro qualcosa di scuro, tipo nocciola, verdone. Credo un maglione.
Ha potuto notare se sulla soglia avesse in mano qualcosa?
Non mi sembra che avesse in mano nulla.
Ha sentito rumore di porte che sbattevano?
No, silenzio assoluto.

TESTIMONI DEL 26 FEBBRAIO (SANTORO)

Marco Santoro, comandante polizia penitenziaria. Dà il consenso alle riprese.

Il 22 novembre 2007 ho sequestrato alcuni manoscritti, dopo che il Romano era stato invitato a utilizzare i canali tradizionali per l’invio della corrispondenza. Trovammo una lettera inviata da Olindo con il nome del parroco del carcere quale mittente che, però, non aveva scritto nulla. Era indirizzata alla madre. Sui suoi libri Olindo scriveva veri e propri diari. Vi scriveva quotidianamente e personalmente. Scriveva molto, lo sappiamo perché Olindo era sottoposto a sorveglianza a vista. Il 18 luglio 2007 l’agente che lo sorvegliava una sera dovette invitarlo ad abbassare la voce. Olindo parlava con quelli delle celle a fianco. Erano Giuliano Tavaroli, Sergio Domenichini. Tra Romano e Tavaroli c’erano stati tentativi di passaggio irregolare di libri. In particolare il “Gesù di Nazaret”. Quando fu mandata in onda la fiction delle strage di Erba su Canale 5 Olindo era nervoso, si lamentò e disse alla guardia: “Meglio arruolarsi nelle Br, meglio fare il kamikaze. Ammazzare una persona non è poi così male…Anzi, lo rifarei ancora”.
Tavoli e Olindo parlavano spesso, e dovevo riprenderli spesso. In effetti, c’era qualche problema nel relazionarsi con le guardie carcerarie.


Avv. Schembri
In data 8 maggio lei ha fatto una relazione. Prima dell’8 maggio, le erano giunte segnalazioni di comportamenti atipici del Romano?
Avevo avuto una richiesta dal Romano di una cella matrimoniale: “io aspetto il processo e sto calmo, ma dopo non men ne frega niente, voglio la cella matrimoniale”.
Una volta mi ha detto: “Prima di venire qui non mi era mai successo niente”. Aveva l’insofferenza che chiunque va per la prima volta in carcere ha.

Le chiesero chiarimenti sul destino del loro patrimonio?
Sì, dalla Bazzi. Ma le dissi che io mi dovevo occupare soltanto a quanto accadeva in carcere. Ho dato impulso a un procedimento di nomina di eventuale curatore provvisori. Mi chiedeva del camper, dalla liquidazione del marito, dell’auto.


Avv. Bordeaux
Le risulta che è stato chiesto un intervisto di sostegno alla psichiatra per il Romano?
Chiunque entra viene seguito da un medico, da uno psicologo, uno psichiatra e dal personale.
Per valutare le mi richieste di togliere la sorveglianza a vista del detenuto, il direttore mi ha chiesto di fare prima un consulto con lo psichiatra.

Le risulta che Olindo fosse molto provato e sconvolto per tentativi di suicidio nella sua sezione?
Non mi risulta.


Avv. Pacia
Romano asseriva pubblicamente che gli impedivate di avere informazioni chimiche e fisiche per costruire bombe artigianali. È vero?
Sì è vero. In carcere ovviamente non ci sono quei libri.
È vero che Olindo diceva che voleva fare il kamikaze perché “così muoio anch’io e non vado in carcere”?
È vero.
Dopo il fermo, c’era il divieto di colloquio con i difensori?
Sì.
Potevano le forze dell’ordine avere colloqui con lui?
Sì, poteva, con i carabinieri che gli hanno prelevato le impronte.
Potevano quei carabinieri intrattenersi con lui a colloquio?
Sì, potevano.
Ma solo per quelle incombenze?
Sì.

lunedì 25 febbraio 2008

LA GRANDE MOVIOLA

L’aperitivo di oggi (auguri Paoletta, te li porti bene) ha dato ottimi frutti in termini di spunti.
Ne prendo uno. Argomento: il processo ai coniugi Romano. Interlocutori: gente interessata e preparata. Vino: prosecco di Valdobbiadene. Morale: Aldo Biscardi ha rovinato l’Italia.
Il prosecco non c’entra. Mi spiego: tutto è ormai filtrato dal devastante “effetto moviola”. Anche nel nostro caso manca solo il lampadato Graziano Cesari e poi c’è tutto. Riprese rallentate, frasi estrapolate leggendo i labiali degli imputati, simulazioni, ricostruzioni più o meno fantasiose, ipotesi, scenari e, soprattutto, opinioni come se piovesse. No, non è “Controcampo”. È il modello di dibattito fiorito intorno al processo. Perché se in Italia siamo notoriamente tutti allenatori, ora stiamo diventando sempre più tutti investigatori, magistrati, giudici e avvocati. Ecco perché il processo mediatico ha tremenda importanza e può essere pericoloso. Tutti si sentono autorizzati a giudicare. Ma non sugli atti processuali, bensì su ciò che del processo passa all’esterno. E, l’abbiamo visto, non sempre ciò che passa assomiglia a ciò che è accaduto davvero. Il problema sta nell’esistenza stessa del processo. O meglio, nella sua continua “reiterazione” (come dice Zecchi) su binari diversi da quello giuridico. Una reiterazione che, con il tempo, e qui il tempo non manca, porta sempre più in secondo piano il piano giuridico, a favore di quello mediatico.
Con buona pace della Corte d’Assise.

UN PO' DI RISPETTO

Domani toccherà a lui.
Al testimone chiave: Mario Frigerio, scampato, non ci sentiamo di dire miracolosamente, alla strage di Erba. Dovrà ripetere in aula se l’uomo che ha visto sull’uscio dell’appartamento di Raffaella Castagna fosse Olindo Romano. Dovrà ripercorre, dio solo sa con quanto dolore, ogni istante di quei minuti che gli hanno devastato, irrimediabilmente, la vita. Sarà invitato a raccontare dal piemme Astori, sarà incalzato, com’è giusto che sia, dagli avvocati difensori dei Romano. Ma ciò che, sicuramente, più preoccupa Frigerio e i suoi familiari non è l’aula dell’Assise di Como, ma quanto sta fuori, tra flash, microfoni, telecamere e ressa.

LA REITERAZIONE DEL COMMENTO

Stefano Zecchi, docente di Estetica alla facoltà di Filosofia di Milano, nel definire il suo disagio di fronte alla spettacolarizzazione del dolore (si parlava di Cogne e della strage di Erba), è stato illuminante, nella sua semplicità.
Ha detto: “Io voglio sapere ciò che accade, anche in fase di inchiesta e di eventuale processo, a Cogne e a Erba. È un mio diritto-dovere essere puntualmente informato. Ciò che mi urta non è la notizia, ma la ritualità della reiterazione del commento”.
Insomma: trasmissioni intere che rivoltano come calzini le vite di carnefici e vittime, opinioni su opinioni, criminologi, avvocati, starlette e gossippari, tutti chiamati a dire la loro e a contribuire alla costruzione di quella realtà parallela, tutta mediatica, che diventa spesso più convincente di quella concreta, dei fatti.
Questo, più in generale, è un problema del giornalismo moderno. Anzi, quando l’opinione sostituisce sistematicamente i fatti, è la fine del giornalismo.
Ma è un altro discorso. O forse no.

domenica 24 febbraio 2008

ORRORE ETNICO

Quando Olindo Romano e Rosa Bazzi furono fermati e portati in carcere il quotidiano "La Padania" pubblicò, mestamente, un titolo che suonava più o meno così: "Inn dù di nost", "Son due dei nostri", per chi ignorasse l'idioma celtico. La notizia era tutta lì, per l'organo di stampa del Carroccio. Un fatto di etnia, non di orrore. Ecco come va interpretato, ora, l'ampio credito che i media leghisti hanno deciso di dare incondizionatamente al libro "Il grande abbaglio" in cui, per somma goia dei criminologi lumbard, si addossano le responsabilità del massacro a un non meglio specificato commando di extracomunitari. L'atra sera ho intercettato in auto una trasmissione di RadioPadania. Nel corso del programma, veniva intervistato uno degli autori del libro, che, con l'incondizionato appoggio del conduttore, spiegava perchè Olindo e Rosa non potevano essere stati i protagonisti dei fatti dell'11 dicembre 2006 e perchè il colpevole doveva essere cercato altrove. Mentre ascoltavo, lo ammetto, un po' sconcertato, mi chiedevo: ma ci sarà qualcuno che, annebbiato dalla ideologia politica, crederà a questa tesi? Purtroppo, la risposta me la sono data immediatamente: evidentemente, sì.

sabato 23 febbraio 2008

IL TIZZONE ARDENTE

Paolo Moretti auspica in prima pagina oggi su La Provincia che il processo torni entro livelli di decoro. Lo chiede soprattutto agli avvocati, portando ad esempio il clima di grande dignità in cui i testimoni hanno deposto ieri, malgrado il peso immane del loro dolore. Ha ragione, ma manca un pezzo. C’è un problema di distanza in questa storia: quella che, sempre più, si forma tra realtà e finzione, tra il processo in aula, articolato su un Codice e teso tra parti, e quello sui media, siano essi giornali, televisioni o siti internet. Il fatto stesso che questa distanza esista è una distorsione oggettiva, in parte inevitabile, ma da non sottovalutare, soprattutto da chi opera nel mondo dell’informazione. Che senso hanno le parole dell’avvocato Pacia (difensore dei Romano) quando parla di “ondata accusatoria palese sui mass media” nei confronti dei suoi assistiti?
Pacia invoca addirittura il cosiddetto legittimo sospetto, ventilando, ma guardandosi bene dal formalizzarla, un’istanza di remissione. È l’ennesima finzione. Si lamenta, giustamente, di alcune dichiarazioni ardite di avvocati che danno la fine del processo tra pochi giorni, quando il teste chiave avrà parlato, ma dimentica la recente uscita di un libro in cui i suoi assistiti vengono, con largo anticipo, assolti. A soffiare sulle braci dei vari avvocati siamo noi, noi giornalisti. C’è chi soffia più forte, chi è più accorto. Ma se lo sbuffo su un tizzone può essere perfetto per alimentare un confortevole focherello, il rischio è che poi, per un alito di vento, le fiamme possano scappare di mano. Trovare l’equilibrio tra una cronaca dettagliata del processo e la deriva di un racconto che diventa altro rispetto a quanto accade davvero in aula è davvero impresa ardua. Basta un aggettivo in un titolo a cambiare la storia. E la storia, per la gente, non è quella che si consuma, dal 29 gennaio, in Corte d’Assise a Como, ma quella che da lì, inesorabilmente, trasla sulle pagine dei giornali e, con ancor maggiore violenza, nei servizi televisivi. Il controllo di questa traslazione non è affare da avvocati. È compito nostro.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (ANDREA FRIGERIO)

Andrea Frigerio, figlio di Mario Frigerio. Dà il consenso alle riprese.

Mio padre mi disse che poco prima delle 8 sentì delle urla. Allora mia madre aspettò a scendere col cane. Rientrando, vide del fumo sulle scale e chiamò mio padre. Mio padre scese, vide la porta che si chiudeva. Si avvicinò, venne preso e trascinato dentro. Chiesi a mio padre due o tre volte se fosse in grado di riconoscere l’aggressore. Disse di sì. Mi diede la descrizione di un uomo con corporatura robusta, testa grossa, capelli attaccatura bassa. Fu sempre più o meno questa la descrizione.
Gli chiesi dell’età. Mi disse né giovane né vecchio. Gli chiesi della pelle. Mi disse olivastra, nel senso né pallido né scuro. Questi particolari li diceva soltanto a me. E Quando eravamo soli noi due più volte gli chiesi se fosse sicuro e mi disse sempre di sì. E sempre mi confermò che era stato Olindo. Era cosciente che la sua affermazione era pesante e non riusciva a spiegarsi come Olindo avesse potuto fare una cosa del genere. I carabinieri gli fecero vari nomi: l’imputato, Pietro Castagna, Azouz. Quando gli fecero il nome di Olindo rimase colpito. Era come se dicesse, ci siete arrivati. Alla fine si mise a piangere. Quando mio padre tornò sul nome di Olindo, si mise a piangere, cioè: quando tornò sul nome di Olindo, il carabiniere gli chiese il perché, e lì si mise a piangere.
Né mio padre né mia madre mi riferirono mai di preoccupazioni per strane presenze nella corte. I miei non avevano avuto rapporti con gli imputati. Non mi parlò di extracomunitari. Mi parlò delle liti tra Raffaella e i Romano. So che una volta intervenne per dividere da una lite tra Raffaella e Rosa.

Avv. Schembri
È sempre stato presente alle deposizioni di suo padre in ospedale?
Sì.
Cosa le raccontò?
Vide la porta aprirsi e richiudersi, pii fu afferrato e buttato per terra.
Come lo afferrò? Fece mosse di arti marziali?
Lo disse solo come esempio. Disse che fu preso con violenza e buttato per terra come se fosse stato uno abile in arti marziali.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (ELENA FRIGERIO)

Elena Frigerio, figlia di Mario Frigerio e Valeria Cherubini. Non dà il consenso alle riprese.

L’11 dicembre, arrivata a Erba trovai lì mio fratello. Non capivo cosa fosse successo. Dopo un po’ ci dissero che un uomo che poteva essere mio padre era stato portato al Sant’Anna in fin di vita e che mia madre era morta.
Io vedevo i miei due o tre volte alla settimana. Non hanno mai avuto problemi con i vicini, con Olindo e Rosa normali rapporti di vicinato, buongiorno buonasera. Anche con Raffaella.
Mia mamma a volte mi raccontava dei litigi tra le due famiglie. Non è mai stata interpellata o coinvolta nelle beghe. Mia mamma tutte le sere verso le 20 faceva un giro di una mezz’oretta con il cagnolino. Io e mia mamma eravamo molto legate. Se fosse stata coinvolta nelle questioni me lo avrebbe detto. Escludo che mia madre possa avere avuto contatti con Olindo per la questione del cancelletto su via Volta. Io vedevo spesso Olindo in cortile anche in orari serali, era lì fuori a fumare. Era una presenza costante. Non so di lamentele di Olindo rivolte ai miei. Si lamentava perché si riempiva la vasca biologica. Non mi risulta che mia mamma avesse paura di passare sul pianerottolo e non aveva paura della presenza di extracomunitari.


Avv.Pacia
Era presente quando suo padre fu interrogato da Gallorini?
Sì.
Può riferire cosa disse, in linea di massima? Soprattutto in ordine a quanto tempo ci mise la mamma a uscire col cane.
Mia mamma era stata fuori circa un quarto d’ora col cane. Generalmente andava verso alla farmacia o verso il parcheggio. E usciva sempre dalla corte.
Si ricorda quando suo padre disse di aver sentito vari rumori?
Confermo quanto dissi, verso le 20.05.
Che descrizione aveva dato dell’aggressore?
Quella di un uomo alto come lui, grosso, attaccatura bassa, occhi cattivi color nocciola, scuri.



Avv. Bordeaux
Tra le altre caratteristiche elencate, c’era anche la carnagione olivastra?
Sì.
La mamma le ha mai riferito di liti nell’appartamento di Raffaella?

Conferma che il portoncino era guasto?
Sì.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (TAVAROLI)

Giuliano Tavaroli, era in carcere insieme con Olindo. Dà il consenso alle riprese.

Quando stato in carcere a Como?
Dal 20 febbraio al primo giugno del 2006.
Ha conosciuto Olindo?
Eravamo entrambi in isolamento nella stessa sezione. Avevamo due celle diverse ma prossime. Potevamo parlare. Avevamo rapporti visivi e di buon vicinato. Capitava di parlare di argomenti normalissimi. Di vari argomenti.
Conosceva il motivo per cui Olindo era detenuto?
Sì, dai giornali.
Ha affrontato temi religiosi con Olindo?
Sì, sia con lui sia con altri detenuti, argomenti di carattere spirituale. Partecipavamo alla messa in corridoio. Avevamo ricevuto in dono un libro in dono dal cappellano, per Pasqua. Mentre parlavo con un altro detenuto, ricordo che Olindo intervenne parlando del tema del perdono. Lui su questo argomento aveva un problema: perché era stato recentemente perdonato dal Castagna e lui non si sentiva pronto ad essere perdonato, ma si sentiva che era lui a dover perdonare. In un altro paio di circostanze aveva manifestato il convincimento di essere stato oggetto di annose angherie, nessuno è stato capace di comporre le liti, e che se fosse successo non si sarebbe arrivati a fare quello che ha fatto. Ovviamente l’argomento era la sua vicenda.
Olindo le aveva detto che avrebbe dovuto partecipare a un processo?
Sì, ricordo qualcosa. Che coinvolgeva la famiglia Castagna.
Emergeva la sua responsabilità per quello che era successo?
Mai in maniera diretta. Non ha mai ammesso in maniera diretta quanto gli veniva imputato. Era riservato, aveva una posizione di accettazione della vicenda. Lui parlava con preoccupazione della prospettiva lontano dalla moglie. Una volta si presentò a un altro detenuto come “il mostro di Erba”.
Le ha mai detto di essere innocente?
Non l’ha mai detto. Non ha mai manifestato l’intenzione di ritrattare. L’accettazione era di fatto. Pensava a come vivere la carcerazione con sua moglie. Quella era la sua preoccupazione.
Ho avuto modo di sentire parlare Olindo con altri, ad esempio operatori sanitari e psicologici?
Qualche volta ho sentito qualche particolare. Sentivo parlare di spranghe e altro, e capivo che Olindo entrava nei particolari.
Le ha mai parlato della sua confessione?
In una circostanza mi disse che in una lunga notte aveva reso una confessione.
Come fu presentata?
Come un racconto. Disse che la confessione era stata come una vera e propria liberazione, dopo la pressione anche della stampa e delle indagini.
È mai stato in discussione che fosse innocente?
Non è mai stato in discussione.
Le ha mai dato suggerimenti?
No, perché non fu mai richiesto. Gli ho fatto semplici inviti a vivere questa situazione nel modo migliore possibile. Ho cercato anche di rispettare la sua riservatezza.
Ha aiutato Olindo a redigere una lettera?
No, mai. La lettera di cui si parla non fu scritta da me. Non ne ero a conoscenza.
Le disse Olindo di avere avuto pressione dai carabinieri?
Mai. Né mi parlò di eventuali pressioni psicologiche.
Nei suoi discorsi era implicita la sua responsabilità?
Direi di sì. In una circostanza mi fece leggere l’avviso della chiusura indagini e non aggiunse nulla. Fu la prima volta che presi atto della sua effettiva posizione.
In quell’occasione cosa obiettò?
Nulla. Anche per lui la situazione era molto pesante.
Nemmeno in quell’occasione le disse di voler ritrattare?
Assolutamente no.

Avv. Tropenscovino.
Le ha mai detto che poteva essere stato qualcun altro?
Assolutamente no.


Avv.Pacia
Mi sembra che siano state tutte sue considerazioni personali. O sbaglio?
Non direi. Più che altro è una presa d’atto di uno stato di fatto.
Ha sentito altre volte che Olindo si è presentato come “mostro di Olindo”?
Mai.
Qual era la massima aspirazione di Olindo?
Era quella di avere il ricongiungimento con la moglie.
Non le sembrava paradossale?
Era un’aspettativa ingenua, non paradossale.
Qual era il temperamento di Olindo quando parlava con lei?
Normale.
Le sembrava avesse debolezze interiori?
Non capisco.
Problemi psichici.
Non sono competente per dirlo.
Qual era il motivo per cui era in carcere?
Vari capi di imputazione legati alla vicenda Telecom.
Non avete mai parlato di Osiride, Dio dei morti?
Non con me, non so neanche cosa sia.
Sapeva che Olindo aveva avuto un colloquio con Picozzi?
Sì, me lo raccontava lui. Aspettava le risultanze di quegli incontri.


Avv. Schembri
Voleva scrivere ai giornali della “cella matrimoniale”?
Credo di sì.

Corte d'Assise.
Altri detenuti hanno sentito qui discorsi?
Altri detenuti avrebbero potuto sentire, parlavamo da cella a cella.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (MARZOUK)

Azouz Marzouk, dà il consenso alle riprese.

I problemi con i Romano riguardavano soprattutto mia moglie. Era per i rumori, ma di rumori non ce ne erano. Raramente i miei parenti frequentavano casa nostra. Spesso i Romano chiamavano di notte, rispondeva sempre mia moglie. È capitato che si presentassero anche di giorno. Erano sempre insieme. Anche Carlo Castagna era spesso coinvolto nei litigi. Una volta difendevo mia moglie e ci hanno raggiunto anche Carlo Castagna e sua moglie Paola. Ricordo anche interventi di carabinieri per questi motivi. Non abbiamo mai avuto lamentele da altri nella palazzina, solo dai Romano.
Una volta sono andato dai Romano, abbiamo cercato di calmare gli animi, ma senza esito.
Era il 2004, si parlava dei rumori, dicevano che Raffaella faceva apposta a fare rumore, ho cercato di convincerli che avremmo fatto di tutto per non fare rumore. Dopo neanche 10 giorni le lamentele sono ricominciate. Non ho ricevuto minacce, ma insulti. Quando ero in carcere non avevo mai avuto minacce, né problemi con nessuno. Soltanto qualche battibecco con alcuni detenuti. Non mi sentivo minacciato da nessuno. L’unico contrasto era con questi vicini di casa.

Come ha saputo di quanto era successo?
Verso le 4 del mattino del 12 dicembre mi ha chiamato mia zia e mi ha detto che sarei dovuto tornare perché mia moglie e mio figlio avevano avuto un incidente in auto con mia suocera ed erano in pericolo di vita. (Azouz riconosce due cuscini di casa sua che erano sul divano e ora erano vicino ai cadaveri).


Avv. Tropenscovino
Anche sua moglie aveva abbracciato la religione musulmana?
Ultimamente sì.
Come erano i rapporti con i suoi cari?
Ottimi.
Ha mai usato violenza con sua moglie?
Mai.
Avete mai pensato di allargare la famiglia?
Sì, stavamo cercando un altro figlio e mi aveva comunicato che aveva un ritardo.
Rapporti Youssef – Romano.
Cercavamo di non farlo avvicinare ai Romano.


Avv. Bordeaux
Ha subito aggressioni fisiche mentre era in carcere al Bassone?
No.
Ha avuto discussioni con altri pregiudicati?
Sì, alcune.
Sono stato io a chiedere il trasferimento dal carcere di Como.
Non le risulta che sia dovuto a problemi con altri detenuti?
No, sono stato io a chiederlo.
Le risulta che sua moglie abbia ricevuto minacce telefoniche?
Già prima delle mie discussioni in carcere aveva avuto queste minacce.
Le vengono contestati fatti di spaccio anche precedenti all’11 dicembre?
A questa domanda risponda il mio avvocato.
Le vengono contestati fatti avvenuti a Erba?
Ho già risposto, chieda al mio avvocato.
In carcere non ci sono mai stati litigi con altre persone legate alle questioni di droga?
No.
Lei ha avuto contrasti con altre persone coinvolte nell’indagine? Magari a suoi familiari?
Non ne ho mai avuti.
I problemi di suo fratello hanno influito con i rapporti con Raffaella Castagna e la sua famiglia?
Non so rispondere a questa domanda.
Gli amici di Raffaella si sono allontanati da lei dopo il vostro matrimonio. Le risulta?
Sì, confermo.
Ha mai avuto discussioni con Carlo Castagna?

Si è mai allontanato da casa dopo una discussione?
Sì.
C’erano frequenti liti?
Solo discussioni.
Era perché sua moglie era preoccupata per le sue frequentazioni in Erba?
No.
Paola Galli raccoglieva le preoccupazioni di sua moglie?
Non c’erano preoccupazioni.
La madre aiutava sua Raffaella economicamente?
Sì.
Sono emerse controversie anche con la signora Daniele Messina.
Non mi ricordo.
Era il 2005.
Ero in carcere.
Il 27 dicembre ha fatto un sopralluogo. È stato l’unico?
Sì.
In quella sede le hanno detto qualcosa sulle circostanze dei fatti avvenuti?
Mi hanno chiesto di guardare bene se mancasse qualcosa.
I mass media hanno seguito con attenzione le indagini. Sui giornali locali c’erano dettagli sulle indagini. Lo ricorda?
Sì, ricordo.
Per accendere il fuoco cosa utilizzavate?
Alcool.
Mai utilizzato accendi fuoco liquido?
No, solo alcool.
Usavate attizzatori?
Sì, erano vicino al fuoco.

Avv.Schembri
Dopo il suo secondo arresto è stato spostato dalla seconda alla terza sezione. Perché?
Discussioni.
Anche in seguito. Perché?
Discussioni.
Poi è stato trasferito.
L’ho chiesto io.
Ha svolto una visita oculistica al Sant’Anna?
Sì.
Da chi è stato picchiato?
Non sono stato picchiato.
Vi siete giurati reciproca vendetta con tale Abdelkarim?
No.
Nel suo sopralluogo in casa, c’è stato qualcosa che l’ha colpita?
La ferocia con cui è stata commessa la strage.
Ricorda dei guanti?
Me l’hanno chiesto. Ho indicato un luogo dove potevano essere.
Li hanno trovati i guanti?
Non mancavano, loro mi hanno mostrato un guanto.
Ha litigato in carcere con l’uomo che porta la spesa?
Era sempre la stessa discussione in cui ho avuto dei battibecchi.
Lei era ritenuto un delatore?
No, per quello che so io, no. Un delatore va nella sezione dei protetti.
Sua moglie aveva parlato con la direttrice di minacce telefoniche?
So che ha parlato con la direttrice per il trasferimento che avevo chiesto.
Perché l’aveva chiesto? Aveva paura di quelle persone?
Non ho paura di nessuno.
Con Amdi Abdelkarim come sono i rapporti? È un suo parente?
Non abbiamo mai litigato, soltanto una discussione.
Era preoccupato per qualcosa?
Volevo solo parlare con la direttrice perché non mi trovavo bene in quel carcere.
Emilio La Rosa le dice qualcosa?
Lui è quello della spesa. Avevo avuto una discussione.
Sua moglie quando lei è uscito dal carcere in agosto era in Tunisia?
C’era andata in quel giorno.
Qualcuno dei suoi familiari le ha mai detto che era preoccupato per quanto accaduto l’11 dicembre e indicarono i problemi che aveva avuto in carcere?
Penso di no.
Il 13 dicembre segnalò ai carabinieri che era seguito da un uomo?
Sì.


Corte d'Assise
Suo figlio non ha mai frequentato i Romano?
Mai. Non c’erano rapporti e non li chiamava per nome.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (CARLO CASTAGNA)

Carlo Castagna. Dà il consenso alle riprese.

La sera dell’11 dicembre, quando arrivai in via Diaz, appena entrato il vigile Ferruccio Miotto mi prese per un braccio e mi disse che c’era stato un incendio, poi mi si avvicinò Gallorini che mi chiese: lei sa dov’è suo genero? Sì che lo so: è in Tunisia. È sicuro? Sì. Ha visto il biglietto? No, ma sono sicuro. A quel punto, un subalterno di Gallorini mi disse: sopra ci sono quattro persone sgozzate. Ho chiamato Beppe: “Beppe, sono morti tutti!” Come sono morti tutti?
Quando arrivarono, Beppe mi disse: papà, ora non possiamo fare più niente.

Conosce gli imputati?
Certo, li incontrai per la prima volta nel cortile in un pomeriggio dell’aprile del 2000.
Sapevo degli episodi di screzio. All’inizio si risolvevano con parolacce anche pesanti, poi si passò alle minacce e mossero le mani. Mi ricordo che venni attaccato con espressioni molto dure e molto volgari. Loro lamentavano soprattutto dei rumori che motivavano con il fatto che mia figlia avesse ribaltato la distribuzione delle zone interne alla casa. Con l’inversione, la zona notte di Raffaella corrispondeva alla zona giorno dei Romano. Ma quando abbiamo fatto questa cosa, i Romano non abitavano ancora nella corte. Quando arrivarono, Olindo fece un controsoffitto, ma gli dissi che così faceva una cassa armonica. Rosa mi disse, non prende in giro mio marito: “Guardi che Olindo è geometra”!!!. Nel giugno del 2006, feci posare uno spessore di sughero e un parquet di legno nuovo. Da quel momento, non dissero più niente. Più volte ripresi anche Raffaella, le dissi che era in un condominio, che non doveva fare rumore.
È successo cinque o sei volte in piena notte che mi chiamassero per farmi dire a “quella bastarda di mia figlia” di smettere di fare rumore. Poi, dopo il 2003, non mi telefonarono più, dopo che Raffaella sposò Azouz. Paola era il tramite tra me e Raffaella. Era lei che mi dava le notizie dalla corte. Mi diceva che il piccolino voleva andare dai Romano, ma loro lo insultavano, dicevano che era “figliodi…” Lui non capiva e sorrideva…

Ha visto gli imputati quella sera?
Avevo appreso la notizia. Prima che arrivassero i miei figli ero lì solo. Avevo freddo. Girai su me stesso. Vidi il maglione rosa salmone di Olindo e i miei occhi fissarono i suoi per un secondo e mezzo e mi sembravano quasi dispiaciuti. Non li avevo mai visti così tranquilli e sereni. Un paio di giorni dopo stavo pregando, in camera mia, ebbi un flashback, rividi il pullover, gli occhi dell’Olindo e mi dissi: e se fosse stato lui? Mi risposi: no Carlo, non è possibile.
Il giorno dopo una mia amica mi venne a trovare e mi disse: è possibile che nessuno abbia visto nessuno entrare e uscire? Ebbi un sussulto. Da lì cominciai ad avere un presagio.

La questione del guanto.
Titolo del Giornale: “Giallo di Erba, spunta un guanto sulla scena della strage”. Lessi l’articolo, e riconobbi un guanto di quelli che utilizziamo in ditta. Alcuni guanti furono visti a casa mia da Youssef, gli piacquero e ne portò via almeno uno.


Avv.Schembri
Quando sua figlia conobbe Marzouk ebbe modo di conoscerlo, lo invitò a cena?
Sì. Lo conobbi il 29 novembre, 2002. Il 6 gennaio mi disse: abbiamo pensato alle nozze. Le dissi, mi sembra un po’ prematuro, ma non c’è fretta per decidere. Come famiglia abbiamo sempre cercato di dare fiducia al prossimo. Azouz era una persona. E la multietnicità di mia figlia poteva farci accettare questa scelta. Era la fretta a metterci in difficoltà. Poi fu Gallorini a mettermi in guardia su Azouz. Mi mise al corrente dei problemi di Azoz con un giro non chiaro e il sospetto di un’attività di spaccio. Ne parlai con mia figlia che mi disse: per quello che lo conosco, non è possibile.

Sapeva che il fratello di Azouz era stato ferito con una lama?
Sì, fu mia moglie ad andare a prenderlo in ospedale.

Cercò di mettere sul “chi va là” sua figlia?
Sì, chiesi a mia figlia di venire a casa una sera. Ma lei arrivò con Azouz e il fratello Femi. Allora le dissi, ci vediamo un’altra sera. Loro si arrabbiarono e alzarono la voce, così i miei due figli li respinsero e dissero loro di abbassare la voce in quella casa. Io dissi, vedi Raffaella? Hanno tolto la maschera dell’agnello, e han messo quella del lupo. Così le dissi, ho un motivo in più per non seguirti nella tua scelta, pensaci.

Fu messo al corrente che sua figlia riceveva minacce telefoniche mentre Azouz era in carcere?
No.

Avv. Pacia
Ha visto chi salì nell’abitazione la sera dell’11 dicembre?
No. Mi sono fermato appena dopo il cancello?
Sua moglie aveva una borsetta?
Probabilmente quella sera lì non l’aveva. La patente era probabilmente nel borsellino.


Avv. Bordeaux
Olindo aveva la piantina dell’appartamento di sua figlia?
Olindo aveva la piantina e la signora Rosi è venuta più volte nell’appartamento di mia figlia e faceva ballare l’occhio. Era molto curiosa e osservava cosa c’era all’interno.
C’è un camino all’interno?
Sì, dal 1957.
Sapeva se c’erano attizzatoi?
Sì, quelli c’erano, glieli ho regalati io.
Le sono state mostrate dagli inquirenti alcune chiavi trovate nell’appartamento della figlia?
Sì. Ma quei mazzi non li avevo mai visti. Io avevo dato a mia figlia un mazzo di chiavi con un portachiavi a pesciolino all’ingresso dell’appartamento.
Aveva le chiavi dell’appartamento di sua figlia?
Inizialmente dissi di no. Poi trovai quel mazzo con il pesciolino in casa e lo portai subito a Gallorini.

Sapeva qualcosa dei progetti di sua figlia?
Paola mi parlò di un progetto di Raffaella e Azouz. Mi disse che volevano andare in Tunisia ad aprire un’attività. Ero abbastanza preoccupato. Mi sembrava un progetto molto poco definito.

Sapeva chi andava in casa di Raffaella?
I parenti di Azouz avevano libero accesso. Sapevo che Raffaella aveva concesso il domicilio a due giovani tunisini.

Bianchi.
Youssef parlava italiano?
Per quanto potesse parlare a due anni, sì. Mi chiedeva: nonno, alto! Per farsi mandare in alto con il carrello elevatore. Il signor Ramon lo chiamava nonno. Olindo e Rosi non li chiamava e non li indicava in altro modo.

venerdì 22 febbraio 2008

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (PIETRO CASTAGNA)

PIETRO CASTAGNA. Fratello di Raffella. Presta il consenso alle riprese.

L’ultima volta che io andai in quel cortile fu nel febbraio 2003.
Mia mamma frequentava giornalmente dell’abitazione, perché si occupava di Youssouf.
L’11 dicembre l’ultima volta mia madre l’ho vista in tarda mattinata, saranno state le undici o undici e mezza. Verso le dieci mio fratello mi chiamò: è successa una tragedia, devi venire, sono morti tutti. Alle dieci e un quarto eravamo lì in piazza del Mercato. Mio padre era già arrivato.
Io gli imputati non li avevo mai visti prima. Sapevo ben poco dei contrasti tra Raffaella e gli imputati. Con mia sorella c’erano dei rapporti freddi, dovuti al fatto che non accettavo le sue scelte di matrimonio. Sapevo che gli imputati non erano particolarmente gentili, ma non sapevo molto altro. Mio padre voleva tirarsene fuori da questi litigi. E invitava mia sorella a fare lo stesso. Mia madre era una donna talmente al di fuori di situazioni di questo genere che era imbarazzata anche solo a raccontarle.


Avv. Schembri. Quali erano i suoi rapporti con Raffaella?
Né io né Beppe condividevamo la scelta di mia sorella di sposare Azouz, ma
a volte mia mamma tornava a casa molto contenta e ci diceva: ha trovato lavoro, ora vende casa in Tunisia, aprirà un ostello. Lo soprannominavamo Ricucci, molto stupidamente. L’unico peccato che imputiamo a lui è di essere stato molto giovane, molto ingenuo. In cuor mio speravo che Azouz avesse un progetto. Sapevo che Raffaella sarebbe voluta andare in Tunisia.


Avv. Pacia
Quella sera ha visto qualcuno salire nell’appartamento durante i soccorsi?
Io cercavo il più possibile di stare lontano dall’ingresso perché avevo il terrore di vedere i corpi scendere. In cuor mio dicevo: qualcuno si è salvato io e mio fratello siamo rimasti nell’angolo opposto della casa.

TESTIMONI DEL 22 FEBBRAIO (ARCAINI)

Matteo Arcaini, marito di Daniela Messina. Non dà il consenso alle riprese.

Due giorni dopo la strage chiesi a Olindo se avesse visto qualcosa, e lui mi disse che era a Como e che non aveva visto nulla. La domenica successiva siamo andati a casa loro e ci hanno detto che erano andati a Como per vedere un tappeto e una poltrona.
La signora Bazzi ci aveva detto che aveva incontrato la signora Valeria. E ci disse che qualche giorno prima la signora Valeria aveva incontrato due individui sconosciuti sulle scale. Io non ho mai visto i signori Frigerio parlare con i Romano.

TESTIMONI 22 FEBBRAIO (DANIELA MESSINA)

DANIELA MESSINA – residente corte via Diaz (non dà il consenso alle riprese)

Anch’io avevo discussioni con Raffaella. I problemi erano i rumori e la maleducazione. Io ho denunciato Azouz, Raffaella e la signora Paola Galli.
Io e Rosa stavamo chiacchierando tranquillamente, Raffaela è scesa, ha cominciato a insultarci, a dirci che spettegolavamo di lei. Io sono uscita e ho cercato di tranquillizzare sia una sia l’altra. Raffaella non si tirava indietro a insultare sia me che la Rosi. Dal mio appartamento si sentivano i litigi tra loro. Spesso si prendevano a parole. Le liti avvenivano quasi tutti i giorni.
Contatto fisico tra i contendenti? Non ho mai assistito
Quando ha saputo che Azouz mi aveva fatta cadere, Olindo si era arrabbiato e c’era stato uno scontro davanti al portoncino. Io e la Rosi siamo riusciti a calmare l’Olindo e a riportarlo in casa. Era il luglio 2004. Io ho fatto denuncia, poi ho ritirato la querela accettando un risarcimento.
Azouz era in carcere, io e Raffaella ci siamo chiarite e ci siamo chieste scusa a vicenda per le parole che ci eravamo dette. Da allora abbiamo avuto un rapporto di buon vicinato e nulla più.
Un giorno Olindo aveva preso strattonandolo per il bavero il papà di Raffaella.
Lo aveva minacciato di morte, in particolare di strangolarlo.
Nell’ultimo periodo Raffaella mi diceva che era un po’ ossessionata nei confronti del bambino: Youssef stai fermo, Youssef non far cadere i giochi, Youssef non fare rumore. Ho visto l’Olindo il giorno 13 dicembre in tribunale a Erba. Mio marito era testimone della Raffaella. L’ho accompagnato. Olindo ha detto che c’era molta confusione nella corte, che era un via vai di gente. Mi sembrava abbastanza sconvolto: io con mio marito abbiamo pensato fosse normale visto che era successo quello che era successo. Li ho incontrati la domenica successiva, il 17. Siamo andati a casa loro. Ci siamo detti: “chissà chi è stato, chissà perché”. Loro ci han fatto vedere la foto di Azouz: ecco, vedi che faccia che ha? E lo insultavano. Si parlava dell’accaduto, del fatto che loro non c’erano, che erano andati a Como.
“Guarda che faccia da delinquente”. Io avevo le chiavi di casa di Raffaella. L’unica volta che ho consegnato le chiavi di casa è stato nel 2004 quando ho dato le chiavi a Olindo mentre noi andavamo in vacanza.
Una volta, Rosa mi diede un manoscritto da trascrivere.
Voleva che lo scrivessi a computer per tenerlo come promemoria di quello che era avvenuto con la Raffaella. L’aveva scritto l’Olindo, la scrittura era sua.
Il contenuto? L’ho trascritto in modo fedele, ho solo corretto l’italiano

Avv. Schembri
Lei ha detto che Olindo faceva da pacere. Nel senso che cercava di tranquillizzare Rosa.
DM: Olindo era una persona sempre tranquilla. Gli piaceva sorridere e penso che gli piaccia ridere come ridono tutti. Mi ha detto che il manoscritto sarebbe tornato utile da consegnare a un avvocato, in caso di ulteriori angherie.

Avv. Bordeaux
Se Azouz era in casa, la signora Galli non saliva?
DM: Fabrizio Manzeni è cugino di mio marito. Manzeni una volta ha detto che aveva incontrato la signora Valeria un po’ preoccupata perché c’era più confusione del solito quella sera.

Avv. Pacia
Com’erano i rapporti con Olindo e sua moglie?
Buonissimi, erano uno la metà dell’altro.

Corte d’Assise
Per quanto riguarda le chiavi: lei ha detto che ha dato le sue chiavi a Romano Olindo per consegnare la posta?
Sì, io ad agosto ero andata in vacanza e c’era appena stata la querela. C’erano anche le chiavi del portoncino.

mercoledì 20 febbraio 2008

IL PROCESSO? E' USCITO UN ATTIMO

Si intitola "Il grande abbaglio" il libro scritto da due cronisti de Il Giornale in cui si ricostruisce un'ipotesi che spiegherebbe la strage di Erba assolvendo gli impoutati Olindo Romano e Rosa Bazzi. Alla pubblicazione del libro corrisponde il momento più acuto, fino a questo momento, dello strabismo tra il processo giuridico (in aula) e quello mediatico (fuori). I due piani, insomma, mai sono stati tanto distanti. Prima di approfondire la questione del doppio binario con una serie di nuove riflessioni e, spero, di contributi di chi legge, desidero proporre questa intervista rilasciatami da Felice Manti, uno dei due autori del libro.

Anche dalla sua posizione, pur opinabile, intendo aprire un dibattito sulla costruzione di questo secondo processo, aperto su libri e giornali, che corre molto più velocemente di quello in scena davanti alla Corte d'Assise e che, a seconda dello schieramento, ha già emesso la sentenza finale. Per Manti, i coniugi Romano sono innocenti, ma il discorso è più ampio. Vediamo cosa dice:



Qual è stata la molla, la scintilla, che vi ha fatto decidere di scrivere questo libro?
Abbiamo scelto di scrivere il libro dopo che, all'udienza preliminare dello scorso ottobre, Olindo si è dichiarato innocente, la difesa ha detto no al rito abbreviato e ha chiesto che la perizia dei Ris fosse usata a discolpa. Lì è scattato il dubbio che qualcosa non tornasse.

Quando hai cominciato a pensare che i Romano potessero essere innocenti?
Quasi subito. Troppe cose non tornano: la dinamica descritta dalle macchie di sangue trovate dai Ris, la tempistica della strage, l'assenza totale di macchie nel loro appartamento e di Dna a casa delle vittime, certi particolari che i due coniugi non sono stati in grado di spiegare, dalla morte della Cherubini all'accelerante. Troppi dettagli fuori posto, sui quali solleviamo dei dubbi che ci aspettiamo vengano chiariti defitinivamente al processo.

Hai mai preso in considerazione le "implicazioni" del caso. Mi spiego, trattandosi di una strage efferata in cui è stato ucciso anche un bimbo, con due rei-confessi e un testimone oculare, il "rischio impopolarità", anche nel rispetto delle vittime, della vostra tesi è obiettivamente alto.
Il giornalista deve perseguire un solo scopo: la verità, per quanto brutta e difficile possa essere.

Ti sei domandato perché un innocente dovrebbe arriverare a confessare un massacro tale?
Non è il primo caso. Come avrai avuto modo di vedere nel libro, la letteratura di confessioni false è ampia e documentata. Il nostro sistema giuridico prevede che le confessioni non bastino, tanto che la Cassazione ha deciso di tarci un taglio, sancendo che siano suffragate da prove (scusa il gioco di parole) a prova di bomba. Vedremo a processo se sarà così.

Anche se la tesi difensiva non è ancora stata esplicitata, l'impressione è che in buona parte possa andare a ricalcare l'ipotesi tracciata sul libro. Avete messo in conto questo fatto? Con quale criterio avete scelto la tempistica della pubblicazione?
La strategia difensiva è una cosa che non ci riguarda: noi siamo giornalisti, abbiamo fatto una controinchiesta basata solo su carte della Procura. Non abbiamo consultato nemmeno una perizia difensiva. La tempistica della pubblicazione è legata al tempo necessario per mettere insieme la documentazione (ottobre), ragionarci su (novembre e dicembre) e scrivere il libro, che abbiamo chiuso il 18 gennaio scorso.

Parliamo della sovrapposizione dei due piani: quello mediatico e quello giuridico. Secondo te, quale può essere l'effetto finale della contaminazione tra i due livelli?
Se per processo mediatico intendi la sentenza già scritta dai soliti soloni in tv che non hanno evidentemente letto neanche una carta, beh ti ho già risposto. Sono certo che la Corte, presieduta magistralmente da Alessandro Bianchi, non si farà influenzare dalla piazza ma dalle prove. La contaminazione per ora è avvenuta in modo univoco: i media hanno influenzato l'opinione pubblica e hanno snobbato diversi passaggi in aula che secondo me, alla fine, risulteranno decisivi. Spero che prima o poi il beneficio del dubbio basato sulle carte contagi anche chi ha già deciso come andrà a finire.

Secondo te, la difesa approderà alla richiesta di perizia psichiatrica per i de
coniugi?
Non entro nel merito delle scelte della difesa. Come ti ho già detto sono un giornalista, non un avvocato né un mago. Non ho la presunzione di leggere nella mente dei legali.

Che tipo di riscontri, oltre alle vendite, state avendo dopo la pubblicazione del libro? (mail, messaggi verbali, lettere)
Chi ha letto il libro resta sconcertato dalla mole di dubbi che solleviamo e dal fatto che siano
documentati, dal primo all'ultimo. Ma il pregiudizio monumentale contro Olindo e Rosa è difficile anche da scalfire.

Quante copie ha venduto nella prima settimana?
Non lo sappiamo ancora.

Come andrà a finire questa storia secondo te? Sia in aula, sia fuori.
Vale quello che ti ho detto sulla Corte e sui legali. Non sono un mago e non pretendo di avere la verità in tasca.

Non escludo (anche se non ho la sfera di cristallo) che entrambi gli imputati avranno altre cose da dire.

TESTIMONI DEL 18 FEBBRAIO (FINOCCHIARO)

Antonino Finocchiaro, carabiniere presso il comando di Como. Dà il consenso alle riprese televisive.

Il 10 gennaio andai in carcere con il maresciallo Cappelletti per alcuni rilievi da fare sulle impronte dei coniugi, su richiesta del Ris di Parma. Ero stato in licenza fino alle 24 del 9 gennaio, per dieci giorni. Durante il periodo di congedo non ho compiuto indagini. Avevo partecipato alle indagini all’indomani della strage, ma personalmente, visto l’imminente pensionamento, facevo poco nell’inchiesta. Sono rientrato la mattina del 10 gennaio alle 8.30 e non sapevo nulla di nulla. Non sapevo degli esiti degli accertamenti medico legali. Non avevo nessuna cognizione di quanto era avvenuto. In carcere siamo arrivati alle 10.00 e siamo rimasti fino all’una di notte. Nella mattinata non ho avuto alcuna notizia delle indagini in corso. Olindo era molto teso, e non si riusciva a prendere la sua impronta. Allora gli ho detto: sediamoci a fumare una sigaretta, nella conservazione mi disse che la moglie era innocente. Gli dissi, se tua moglie è innocente, allora sai qualcosa di specifico. Quindi dillo, che sollevi la tua coscienza. Olindo Romano mi disse che aveva voglia di parlare con il magistrato, ma non prima di aver ottenuto un colloquio con la moglie. Stetti con Olindo dalle 10.30 per una mezz’oretta. Poi andai a telefonare in Procura, dopo che Olindo mi disse che voleva parlare con il piemme, e poi dalle 13 fino all’arrivo del piemme.
Mentre aspettavamo il piemme, Olindo era un fiume in piena, io lo interrompevo continuamente parlando d’altro, ma lui continuava a parlare della strage, dicendo che era stato lui. (In aula Rosa si mette il volto tra le mani e piange sommessamente, Olindo le dice di non piangere)
Era lui che continuava a parlare. Poi assistetti agli interrogatori veri e propri, perché lo chiese Olindo stesso. Quando era solo con me, partì dal fatto che la moglie era innocente, e si addossava tutta la responsabilità della strage. Io gli dicevo: a me non interessa. Mi disse tutto quanto è successo da quando la sera dell’11 li aspettava in cortile in avanti.


Avv. Pacia
Quanto è stato con Olindo prima di telefonare al Piemme?
AF: Circa mezzora.

P: Cosa ha detto Olindo?
AF: “Mia moglie è innocente”. Allora se dici che è innocente sai qualcosa? “Sì, sono stato io”.

P: Perché non ve ne siete andati?
AF: Perché il piemme ci ha detto di restare dov’ero. In queste tre ore Olindo è rimasto nella stanza dove gli hanno preso le impronte.
P: In quel lasso di tempo Olindo ha mangiato?
AF: Non so. Non credo. Nemmeno io ho mangiato.

TESTIMONI DEL 18 FEBBRAIO (LUCA NESTI)

Luca Nesti, carabinieri presso il comando di Erba. Dà il consenso alle riprese televisive.

La notte tra l’11 e il 12 dicembre, dopo le 2, quando siamo entrati Rosa ci ha detto che Olindo dormiva. Ma secondo me non dormiva. Olindo aveva gli occhi arrossati e sbarrati, non mi guardava in faccia, guardava un punto fisso. Chiedemmo dove erano stati nelle ore precedenti. Rosa Bazzi mi recuperò subito uno scontrino di una cena da Mc Donalds. Io non lo chiesi, ma lo esibì lei spontaneamente. La loro auto era in piazza Mercato. Ci siamo andati con Olindo. Dalla parte del passeggero è salito il mio collega. In mattinata, in caserma a Erba, la perquisizione è stata fatta dall’appuntato Moschella, che però non ha firmato il verbale, non mi ricordo perché. La cosa strana, negli attimi subito dopo la strage, era l’assenza completa di curiosità dei Romano per quanto accaduto. Tutti erano impauriti e ci chiedevano mille cose. Loro non ci hanno mai fatto domande circa cosa potesse essere successo. Una volta giunti in caserma, ricordo di aver visto un cerotto sul dito della Bazzi, ancora sanguinante. Olindo aveva un paio di ecchimosi, una sulla mano e una sull’avambraccio. Io all’interno della palazzina quella sera non sono mai entrato.


Avv. Pacia
Lei ha dichiarato che avete suonato due volte fino a che Rosa in pigiama si è affacciata e ha fatto entrare.
LN: Confermo.

P: Come fa a dire che Olindo non dormiva?
LN: È stata una mia impressione. Non aveva l’aria di uno che viene destato dal sonno.

martedì 19 febbraio 2008

TESTIMONI DEL 18 FEBBRAIO (GALLORINI)

“Sono intervenuto più volte per mettere pace tra Raffaella Castagna e i coniugi Romano, perché non era bello che nella mia comunità ci fosse una situazione di tale tensione”.
La comunità di cui si parla è Erba: quella del luogotenente Luciano Gallorini, colui che fin dai primi istanti dopo la strage ha lavorato per dare un volto ai responsabili del massacro.
Se capisci questa cosa, capisci con quale spirito Gallorini ha condotto le indagini sulla strage di Erba. Perché, la notte stessa del massacro, ha iniziato a sospettare fortemente e lucidamente dei Romano. Perché fino alla piena confessione dei coniugi, poi ritrattata, ha cercato una via d’uscita diversa da quell’incubo che aveva investito con un’atrocità mai vista prima la “sua” comunità.
Quella che segue è la deposizione, per punti sintetici, resa in aula da Gallorini in veste di teste della pubblica accusa.

La scena della strage.
Quando sono arrivato e l’incendio era ancora attivo, c’erano acqua e fuoco.
Sulla prima rampa fino al primo pianerottolo c’erano strisciate di sangue sul muro.
Ho trovato un primo cadavere sul pianerottolo, poi sono entrato e ho trovato un secondo cadavere, poi in un’altra stanza all’interno ho trovato quello del bambino.
Sono uscito e salito al piano di sopra e ho trovato la signora Cherubini.
Ho accertato che il cadavere di Raffaella era in origine all’interno dell’appartamento, e tratto all’esterno da un vigile del fuoco. Indossava un giubbotto di cuoio marrone, allacciato. Portava orologio, braccialetto, anelli.
Accanto alla testa del secondo cadavere, quello di Paola Galli, c’era un cuscino di forma quadrata.
Giunto nella cameretta, il corpicino del bambino.
Nella porta dell’appartamento dei Frigerio, c’era la chiave inserita nella toppa.
Valeria Cherubini era inginocchiata, a carponi, verso la finestra.
Si capisce che la Cherubini è entrata nell’appartamento in cerca di sicurezza, ha afferrato un cuscino e poi l’ha lasciato, si è aggrappata alla tenda ai piedi della quale è poi deceduta.
Nell’appartamento della Castagna l’incendio e l’acqua hanno fatto danni enormi. La camera aveva un contro soffitto che è ceduto e precipitato.
Quando trovai Mario Frigerio in ambulanza in piazza Mercato non sapevo chi fosse. Era in condizioni gravissime, misi immediatamente due carabinieri a sorvegliare il ferito. Poteva essere parte lesa o anche compromesso nel delitto, per questo, in ogni caso, doveva essere seguito in ogni istante. Una volta identificato, poi, la Procura ha coordinato il tutto e ha confermato la tutela H24 del ferito.
Io ho visto Olindo e Rosa nel cortile a una certa ora della sera. Potevano essere le 22.30 o le 23.

Le prime indagini
Abbiamo fatto i primi riscontri sui ceppi familiari delle vittime, abbiamo accertato che mancava all’appello Azouz Marzouk. Quella notte ho dato disposizione di accertare la posizione del Marzouk.
Lui solitamente soggiornava a Merone, da alcuni parenti. Siamo andati a Merone, in via Cavour. In effetti abbiamo rintracciato i loro veicoli. Abbiamo sequestrato un furgone Ducato e un motorino, abbiamo fatto una perquisizione domiciliare. C’erano il fratello e un cugino. Il fratello ci ha subito detto che Azouz era in Tunisia. Ci fece vedere una telefonata sul telefonino con un prefisso straniero. Poi ci fu la conferma di un biglietto aereo comprato da Azouz per la Tunisia. La mattina successiva è arrivata in caserma una telefonata di Azouz che ci diceva che era in Tunisia e aveva saputo cosa fosse successo. Gli consigliammo di andare alla ambasciata più vicina.
Una mail delle 14.27 dall’Ambasciata di Tunisi confermava la presenza di Azouz in Tunisia. I parenti di Marzouk, nel frattempo, erano stati sentiti nella notte in caserma ad Erba.
Nella notte abbiamo ispezionato tutti gli appartamenti della casa del ghiaccio.
In nessuno degli appartamenti abbiamo trovato segni di effrazione o di forzatura. L’unica traccia di sangue era sul pomello interno della porta di ingresso della palazzina. Nessuna traccia ematica sugli abbaini ed erano tutti chiusi dall’interno.
Nessuna traccia sui punti di uscita dalla corte. Nemmeno sulla tettoia che dà su via Volta. Una persona piccola potrebbe essere uscita dagli abbaini della Cherubini, salito sul tetto e sceso in un punto relativamente basso, una volta percorsi tutti i tetti limitrofi. Ma i rilievi hanno dimostrato che di lì non era passato nessuno, nessun segno di sangue, nessuna tegola rotta o spostata. Nessuna traccia di fuga.

I sospetti sui Romano.
Data la situazione virulenta e di controversia tra le famiglie ho deciso di mandare i miei a fare un’ispezione nell’abitazione dei Romano. C’era la flagranza del reato, alle tre di notte l’ho fatto subito. Il sopralluogo è stato condotto dal maresciallo Nesti e dall’appuntato Cardogna.
Nesti mi ha chiamato e mi ha detto: “Ho suonato due volte, poi mi ha aperto Rosa e mi ha detto che Olindo dormiva, ma Olindo, secondo lui, faceva finta di dormire. Mi ha detto vieni subito sul posto. Ci sono andato, ho visto che Olindo aveva una faccia strana, pupille dilatate. Poi abbiamo sentito la lavatrice in funzione ci siamo insospettiti. Ho chiesto l’autorizzazione e abbiamo svolto una perquisizione.
Quando abbiamo chiesto dove fossero stati, stranamente, Rosa ha subito tirato fuori uno scontrino di 8 euro dal Mc Donalds. Olindo aveva ecchimosi importanti sul braccio destro e una sul dito. Le notai quando portammo i due in caserma ad Erba.
Ho detto al maresciallo Nesti di dare un’occhiata anche all’autovettura che era parcheggiata in piazza Mercato. Risalendo ai vari litigi, abbiamo appurato che una volta Rosa ha staccato la corrente nell’appartamento della Castagna.
Abbiamo accertato che la sera dell’11 dicembre la corrente della Castagna è stata staccata, tramite il contatore principale. Quel contatore lì, comanda soltanto la luce dell’appartamento della Castagna. Il tabulato mostra che tra le 17.45 e le 18.00 non c’è stata attività all’interno dell’appartamento, il distacco è avvenuto prima delle 17.45. In tutti gli altri appartamenti con la corrente non c’è stato alcun problema.
Il signor Romano, una volta arrivato, disse a un vigile del fuoco di verificare la condizione dell’impianto perché non c’era la luce. Il vigile disse che il contatore era attivo e che non c’era alcun problema. Dal tabulato non risultano interruzioni della corrente.

Le piste alternative.
Nel corso delle indagini valutammo i possibili vendette tra etnie diverse nello spaccio della droga in cui era stato coinvolto Azouz (marocchini contro tunisini).
Valutammo anche la pista di killer calabresi. Valutammo l’ipotesi del delitto religioso soprattutto nei confronti di Youssef. Valutammo la possibilità che fosse un problema interno alla famiglia Castagna, mettemmo microspie sulle loro auto (Carlo) e sotto controllo il telefono di Pietro Castagna. Valutammo l’ipotesi di un possibile maniaco, un pazzo, dato che Raffaella lavorava in una casa di cura: Villa Cusi.



Mario Frigerio.
Quando vidi Frigerio era ancora intubato, parlava con un filo di voce. Facevo le domande e ripetevo le sue risposte.Quando gli feci il nome di Olindo, Frigerio si mise a piangere, e mi disse che poteva essere stato lui. A quel punto ritenetti che era meglio sospendere.
Ho saputo che in carcere, sulla bibbia di Olindo, c’erano frasi ingiuriose e rancorose verso di me e la mia famiglia. So di una frase che diceva: “Mi chiedo Gallorini come possa accettare un’onoreficenza che è sporca di sangue”.


Avv. Schembri sull’esperimento giudiziale per comprendere da che parte provenissero i rumori uditi dalla famiglia siriana l’11 dicembre.
Quanto è durato l’esperimento?
Alcuni minuti, prima l’abbiamo fatto con Lidio Ramon dall’appartamento di suo padre e successivamente io ho camminato nell’appartamento Castagna.
I miei passi sono stati uditi dal siriano sia dall’appartamento dei Ramon, sia da quelli della Castagna. Lui ha però detto che i rumori che aveva sentito prima un’ora prima della strage arrivavano dall’appartamento del Ramon. L’ha sottoscritto.

Avv. Pacia
Cosa le riferì inizialmente Frigerio?
Mi disse che era stempiato, con i capelli a spazzola, occhi nocciola.

Sapeva quando l’ha ascoltato che Frigerio era già stato sentito da Pizzotti il giorno 15 dicembre?

Non lo sapevo.

Sapeva che l’avvocato di Frigerio, Gabrielli, aveva sentito Frigerio il giorno prima?
No.


Avv. Pacia
Purtroppo è impossibile riconoscere le risposte del Frigerio in tema di risposte. Solo un’analisi molto sofisticata si può riconoscere quanto diceva Frigerio. Chiediamo l’acquisizione della cassetta e una perizia sul nastro, onde verificare con quale fatica si arriva alla conclusione che Frigerio diceva non posso escludere che fosse Olindo.


Pm. Astori
La bobina di cui parla la difesa è stata elaborata dai loro tecnici e penso possa contenere pezzi di conversazione di cui nutro dubbi sul fatto che sia lo stesso Frigerio a pronunciarli. Propongo venga fatta una perizia sulla registrazione originale e non su quella messa a disposizione dalla difesa.


Avv. Pacia

Lei ha detto che non c’erano segni di scasso. Esiste, che lei sappia, la figura del manipolatore, che sa entrare senza fare scasso?

Io, in tanti anni, l’ho vista solo nei film.

lunedì 18 febbraio 2008

ENZO PACIA, L'AULA E' IL MIO RING

Oggi più che mai mi sembra importante riproporre questo ritratto dell'avvocato Enzo Pacia.
E' frutto di un'intervista fatta qualche anno fa da Giorgio Bardaglio per il Corriere di Como.

Secondo me è significativa.

"MI HANNO LAVATO IL CERVELLO"

Dichiarazione spontanea di Olindo Romano. Ore 9.18 del 18 febbraio. Durata: 4 minuti circa.

"Si sente? Buongiorno. Niente, volevo esporre i fatti che si sono svolti il giorno 10 gennaio 2007 nelle ore che precedettero la mia confessione. Quella mattina in carcere arrivarono due carabinieri in borghese per rilevarmi le impronte. Fui portato con loro, poi si fermarono. E mi dissero che se confessavo mi sarei tolto un grosso peso dalla coscienza. E così mi prospettarono a cosa andavo in contro: se stavo zitto, con le prove che avevano in mano, il testimone, la macchia di sangue, l’ergastolo non me lo toglieva nessuno. Mentre se mi fossi pentito e avessi confessato, con il rito abbreviato, una buona condotta, le varie attenuanti – non ricordo quali – in cinque anni sarei stato fuori. In più mi dissero che mia moglie sarebbe stata scarcerata subito e sarebbe potuta tornare a casa. Io ero combattuto, in quel momento lì. In poche parole avrei dovuto, come dire, non dire la verità. E…niente: allora chiesi se potevo parlare con mia moglie, era due giorni che non la vedevo e non sapevo cosa ne pensasse lei. Però mi dissero che questo poteva autorizzarlo solo il pm. Però il pm non si sarebbe presentato se io non mi fossi pentito. Così caddi nella disperazione, ero confuso, non sapevo cosa fare. Ci pensai sopra vari minuti, camminando avanti e indietro. Poi concordai la cosa con loro precisando che prima di parlare con i pm avrei voluto parlare con mia moglie per sentire cosa ne pensava. Il pm arrivò alcune ore dopo e io rimasi lì con loro parlando del più e del meno, di come si erano svolti i fatti, delle armi che probabilmente erano state usate, sull’incendio scoppiato troppo violentemente, di un accelerante che non avevano trovato, di com’era ridotto l’appartamento, di come l’avevano trovato. Alla fine di quelle due o tre ore, non ricordo quanto tempo, era come se – non so se sia l’espressione giusta – mi avessero fatto il lavaggio del cervello. Ero convinto che quello fosse il minore dei mali. E così accettai. E quando arrivarono i pm feci la confessione. Tutto qui".

sabato 16 febbraio 2008

IO QUELLI NON LI CONOSCO

Enzo Pacia, difensore di Olindo Romano e Rosa Bazzi, è stato categorico: “Io di quel libro non ne sapevo nulla e non baso il mio lavoro su libri scritti da altri”.
Parole pronunciate con tono da arringa, in diretta telefonica con Dario Campione, su Etv di Como.
Insomma, l’avvocato lariano prende le distanze dalla storia tratteggiata nel libro “Il grande abbaglio, due innocenti verso l’ergastolo?”, appena uscito in libreria, in cui si ricostruisce un’ipotesi alternativa sui fatti di Erba, riconducendo la terribile strage all’operato di un commando, per un possibile regolamento di conti tra una banda di extracomunitari e Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna che, in quella tragica sera dell’11 dicembre 2006 era, però, in Tunisia.
Resta il fatto, al di là delle legittime prese di posizione di Pacia, che il libro curato dai due cronisti del Giornale, Felice Manti ed Edoardo Montolli, rischia concretamente di anticipare la tesi difensiva dei legali dei coniugi Romano. Una tesi, come detto più volte, non ancora esplicitata compiutamente, se non nella dichiarazione iniziale in cui il trio Pacia, Schembri e Bordeaux ha rivendicato con forza, ma unicamente, il sottile gioco psicologico con cui la Procura sarebbe arrivata alle confessioni in cui marito e moglie ammettono, descrivendo dettagliatamente quell’inferno, di essere gli esecutori, armati di spranga e coltelli, della strage.
Ma, tornando alla sovrapposizione libro/difesa, non può passare inosservato che molti dei contenuti della storia trovino abbondanti riscontri nelle domande fatte dai legali dei Romano in sede di contro esame dei testi dell’accusa e che, soprattutto, alcuni dei testi chiamati dalla difesa stessa sono stati coinvolti per riferire, tra l’altro, proprio sui contrasti che Azouz Marzouk aveva maturato nel corso della sua prima detenzione nel carcere del Bassone.
Non solo. Ovviamente non siamo in grado di anticipare le domande che Pacia e soci faranno ai loro testi, ma è possibile che qualcuno sarà chiamato a dire con precisione se quella sera, come scrive il libro, in via Diaz si aggiravano gruppi sospetti di extracomunitari.
Pacia prenderà anche le distanze da quel libro, ma le sue domande, per il momento soltanto accennate e mai affondate completamente, sembrano andare, quantomeno in parte, nella direzione del suggestivo scritto. Da quelle sui rumori provenienti dal piano dell’appartamento di Raffaella Castagna un’ora prima del massacro, a quelle su impronte non meglio identificabili trovate sul pavimento, a quelle sul liquido che sarebbe stato utilizzato dagli aggressori per appiccare l’incendio.
E poi c’è la famigerata relazione dei Ris depositata dopo l’Udienza preliminare che, secondo la ricostruzione fatta da Manti e Montolli, scagionerebbe definitivamente i Romano, attestando che nell’appartamento della strage non è stata trovata alcuna loro traccia, così come nessuna traccia delle vittime è stata repertata dal loro appartamento.
Opposta, ovviamente, la lettura offerta dalla Procura che si limita ad osservare come, a causa dell’abbondante intervento dei vigili del fuoco e del precedente rogo, nella casa dell’orrore nessuna traccia in assoluto sia rimasta.
Secondo la pubblica accusa, limitarsi alla relazione dei Ris significherebbe dire, insomma, che l’orribile mattanza compiuta all’interno della “casa del ghiaccio” sia stata commessa da nessuno.

mercoledì 13 febbraio 2008

IL DADO E' TRATTO

Davvero, non so da dove iniziare oggi.
Dalla lettera scritta da Olindo Romano e Rosa Bazzi, o dal libro intitolato, più che eloquentemente, “Il grande abbaglio”?
Sfogliando “il Giornale” ho l’imbarazzo della scelta, con l’apice, almeno fino a questo momento, dello sdoppiamento nelle dimensioni mediatica e giuridica del processo sulla strage di Erba.
Tutto compare a pagina 23 del quotidiano della famiglia Berlusconi.
In apertura c’è nientemeno che un pezzo firmato direttamente dai due imputati per i quattro omicidi. Olindo e Rosa aprono la loro lettera aperta, datata lunedì 14 gennaio, con una dichiarazione inequivocabile: “Le confessioni che il pm e altri hanno ascoltato, in cui noi ci definivamo gli autori degli omicidi avvenuti la sera dell’11 dicembre 2006 a Erba, tali non sono” e avanti con la tesi della “estorsione delle confessioni”, frutto di “una persecuzione e di una sottile violenza psicologica”.
Una tesi già sentita. L’unica, come spiegavo in questo post di qualche giorno fa, esplicitata chiaramente dalla difesa.
Ma il pezzo forte arriva sotto.
E qui i piani giuridico e mediatico si sovrappongono clamorosamente.
“In un libro inchiesta, l’altra verità sulla strage”, recita così il titolo a mezza pagina che annuncia l’uscita del libro: “Il Grande abbaglio, due innocenti verso l’ergastolo?”, in uscita proprio oggi e firmato da Felice Manti ed Edoardo Montolli.
Nell’ampia anticipazione data nel pezzo firmato dagli stessi autori dell’istant-book, si insinua il dubbio che a commettere la strage non siano stati i Romano, bensì una banda non meglio identificata di extra-comunitari fuggiti, una volta compiuta la terribile carneficina, dal retro della corte di via Diaz, con un salto di tre metri e mezzo/quattro, giù dal pianerottolo tra casa Castagna e casa Frigerio.
Rosa Bazzi avrebbe persino visto qualcosa: il portoncino aperto, il fumo, e sentito i lamenti di Valeria Cherubini. Avrebbe poi svegliato Olindo e, insieme, sarebbero scappati a Como, per evitare guai.
Una ricostruzione che, dal punto di vista processuale, fa acqua da tutte le parti: dal possibile movente, al contrasto con le testimonianze sin qui esaminate, alle confessioni rese dai coniugi, dalle presunte modalità delle strage descritte nel libro, ai riscontri effettivi trovati in sede di indagine.
“Se questo fosse un romanzo, con i soli elementi reali raccolti dall’accusa, questa storia avrebbe soltanto una trama possibile…” . L’incipit del pezzo di Manti e Montolli sembra voler mettere le mani avanti circa possibili interpretazioni del loro scritto, ma c’è un fatto non trascurabile nella lettura di questo processo.
La linea difensiva, come detto più volte, mai esplicitata interamente, sembra andare proprio nella direzione dell’ipotesi tracciata dal libro.
Sinceramente pensavamo avvenisse in modo meno brutale e più sottile, ma un fatto è chiaro: il processo mediatico ha definitivamente sorpassato e, anticipando la stessa difesa degli imputati, calpestato quello giuridico.
Chi possa credere alla tesi del “Grande abbaglio” importa poco. Davvero non conta sapere quante copie venderà questo libro e quanti lettori gli daranno credito. Lo scopo finale sta nella sua stessa pubblicazione, perché essa stessa ratifica l’esistenza del doppio binario.
Il fatto nuovo è che questo doppio binario non è mai stato, da quando il processo è iniziato, tanto evidente e, a dire il vero, inquietante.