sabato 16 febbraio 2008

IO QUELLI NON LI CONOSCO

Enzo Pacia, difensore di Olindo Romano e Rosa Bazzi, è stato categorico: “Io di quel libro non ne sapevo nulla e non baso il mio lavoro su libri scritti da altri”.
Parole pronunciate con tono da arringa, in diretta telefonica con Dario Campione, su Etv di Como.
Insomma, l’avvocato lariano prende le distanze dalla storia tratteggiata nel libro “Il grande abbaglio, due innocenti verso l’ergastolo?”, appena uscito in libreria, in cui si ricostruisce un’ipotesi alternativa sui fatti di Erba, riconducendo la terribile strage all’operato di un commando, per un possibile regolamento di conti tra una banda di extracomunitari e Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna che, in quella tragica sera dell’11 dicembre 2006 era, però, in Tunisia.
Resta il fatto, al di là delle legittime prese di posizione di Pacia, che il libro curato dai due cronisti del Giornale, Felice Manti ed Edoardo Montolli, rischia concretamente di anticipare la tesi difensiva dei legali dei coniugi Romano. Una tesi, come detto più volte, non ancora esplicitata compiutamente, se non nella dichiarazione iniziale in cui il trio Pacia, Schembri e Bordeaux ha rivendicato con forza, ma unicamente, il sottile gioco psicologico con cui la Procura sarebbe arrivata alle confessioni in cui marito e moglie ammettono, descrivendo dettagliatamente quell’inferno, di essere gli esecutori, armati di spranga e coltelli, della strage.
Ma, tornando alla sovrapposizione libro/difesa, non può passare inosservato che molti dei contenuti della storia trovino abbondanti riscontri nelle domande fatte dai legali dei Romano in sede di contro esame dei testi dell’accusa e che, soprattutto, alcuni dei testi chiamati dalla difesa stessa sono stati coinvolti per riferire, tra l’altro, proprio sui contrasti che Azouz Marzouk aveva maturato nel corso della sua prima detenzione nel carcere del Bassone.
Non solo. Ovviamente non siamo in grado di anticipare le domande che Pacia e soci faranno ai loro testi, ma è possibile che qualcuno sarà chiamato a dire con precisione se quella sera, come scrive il libro, in via Diaz si aggiravano gruppi sospetti di extracomunitari.
Pacia prenderà anche le distanze da quel libro, ma le sue domande, per il momento soltanto accennate e mai affondate completamente, sembrano andare, quantomeno in parte, nella direzione del suggestivo scritto. Da quelle sui rumori provenienti dal piano dell’appartamento di Raffaella Castagna un’ora prima del massacro, a quelle su impronte non meglio identificabili trovate sul pavimento, a quelle sul liquido che sarebbe stato utilizzato dagli aggressori per appiccare l’incendio.
E poi c’è la famigerata relazione dei Ris depositata dopo l’Udienza preliminare che, secondo la ricostruzione fatta da Manti e Montolli, scagionerebbe definitivamente i Romano, attestando che nell’appartamento della strage non è stata trovata alcuna loro traccia, così come nessuna traccia delle vittime è stata repertata dal loro appartamento.
Opposta, ovviamente, la lettura offerta dalla Procura che si limita ad osservare come, a causa dell’abbondante intervento dei vigili del fuoco e del precedente rogo, nella casa dell’orrore nessuna traccia in assoluto sia rimasta.
Secondo la pubblica accusa, limitarsi alla relazione dei Ris significherebbe dire, insomma, che l’orribile mattanza compiuta all’interno della “casa del ghiaccio” sia stata commessa da nessuno.

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