mercoledì 13 febbraio 2008

IL DADO E' TRATTO

Davvero, non so da dove iniziare oggi.
Dalla lettera scritta da Olindo Romano e Rosa Bazzi, o dal libro intitolato, più che eloquentemente, “Il grande abbaglio”?
Sfogliando “il Giornale” ho l’imbarazzo della scelta, con l’apice, almeno fino a questo momento, dello sdoppiamento nelle dimensioni mediatica e giuridica del processo sulla strage di Erba.
Tutto compare a pagina 23 del quotidiano della famiglia Berlusconi.
In apertura c’è nientemeno che un pezzo firmato direttamente dai due imputati per i quattro omicidi. Olindo e Rosa aprono la loro lettera aperta, datata lunedì 14 gennaio, con una dichiarazione inequivocabile: “Le confessioni che il pm e altri hanno ascoltato, in cui noi ci definivamo gli autori degli omicidi avvenuti la sera dell’11 dicembre 2006 a Erba, tali non sono” e avanti con la tesi della “estorsione delle confessioni”, frutto di “una persecuzione e di una sottile violenza psicologica”.
Una tesi già sentita. L’unica, come spiegavo in questo post di qualche giorno fa, esplicitata chiaramente dalla difesa.
Ma il pezzo forte arriva sotto.
E qui i piani giuridico e mediatico si sovrappongono clamorosamente.
“In un libro inchiesta, l’altra verità sulla strage”, recita così il titolo a mezza pagina che annuncia l’uscita del libro: “Il Grande abbaglio, due innocenti verso l’ergastolo?”, in uscita proprio oggi e firmato da Felice Manti ed Edoardo Montolli.
Nell’ampia anticipazione data nel pezzo firmato dagli stessi autori dell’istant-book, si insinua il dubbio che a commettere la strage non siano stati i Romano, bensì una banda non meglio identificata di extra-comunitari fuggiti, una volta compiuta la terribile carneficina, dal retro della corte di via Diaz, con un salto di tre metri e mezzo/quattro, giù dal pianerottolo tra casa Castagna e casa Frigerio.
Rosa Bazzi avrebbe persino visto qualcosa: il portoncino aperto, il fumo, e sentito i lamenti di Valeria Cherubini. Avrebbe poi svegliato Olindo e, insieme, sarebbero scappati a Como, per evitare guai.
Una ricostruzione che, dal punto di vista processuale, fa acqua da tutte le parti: dal possibile movente, al contrasto con le testimonianze sin qui esaminate, alle confessioni rese dai coniugi, dalle presunte modalità delle strage descritte nel libro, ai riscontri effettivi trovati in sede di indagine.
“Se questo fosse un romanzo, con i soli elementi reali raccolti dall’accusa, questa storia avrebbe soltanto una trama possibile…” . L’incipit del pezzo di Manti e Montolli sembra voler mettere le mani avanti circa possibili interpretazioni del loro scritto, ma c’è un fatto non trascurabile nella lettura di questo processo.
La linea difensiva, come detto più volte, mai esplicitata interamente, sembra andare proprio nella direzione dell’ipotesi tracciata dal libro.
Sinceramente pensavamo avvenisse in modo meno brutale e più sottile, ma un fatto è chiaro: il processo mediatico ha definitivamente sorpassato e, anticipando la stessa difesa degli imputati, calpestato quello giuridico.
Chi possa credere alla tesi del “Grande abbaglio” importa poco. Davvero non conta sapere quante copie venderà questo libro e quanti lettori gli daranno credito. Lo scopo finale sta nella sua stessa pubblicazione, perché essa stessa ratifica l’esistenza del doppio binario.
Il fatto nuovo è che questo doppio binario non è mai stato, da quando il processo è iniziato, tanto evidente e, a dire il vero, inquietante.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma dai lo sanno tutti che è la grande occasione per un manipolo di avvocati di fare un sacco di soldi. Mediatico o giuridico? Perché c'è ancora qualcuno che crede che la "Verità" si stabilisca in un tribunale?
Vincere è convincere e basta.

Kolza ha detto...

La dottrina Taormina funziona. Come con la Franzoni, chi ci va di mezzo, sono gli assistiti.

stuarthwyman ha detto...

Anche a Perugia non scherzano...