venerdì 28 novembre 2008

IL SANGUE NON BASTA MAI

Ergastolo, dunque. Più tre anni di isolamento diurno. Che vorrà poi dire cambiare di poco il regime a cui già ora Olino e Rosa sono sottoposti.

La Corte di Assise si è pronunciata. Cinema finito. Quasi.

La gente vuole rivedere il sangue. Il sangue, nell'anno 2008, è la sofferenza dei carnefici, "che dovranno essere divisi". E' questo che vuole la gente. Probabilmente, se facessimo un sondaggio, prevarrebbe chi sarebbe disposto ad affibbiare loro una pena minore, a patto che vengano divisi, allontanati. 

Devono soffrire, non devono pagare.

Può darsi, tra l'altro, che ciò, prima o poi, avvenga. Che vengano portati in carceri di lunga detenzione diversi. Olindo l'ha già detto: "Se dovesse succedere, ci uccidiamo". 

E' ciò che la gente vorrebbe. Il sangue. Ancora sangue.  

martedì 25 novembre 2008

LE PROVE D'ACCUSA IN SINTESI

Diego mi chiede di elencare quali siano gli indizi che il piemme Massimo Astori ha messo sul piatto nel chiedere l'ergastolo per i due imputati Rosa Bazzi e Olindo Romano.
Provo a sintetizzarli:

- le confessioni dei due, reiterate, registrate in video, scritte di proprio pugno (la Bibbia di Olindo) convergenti, dettagliate, con ampi riscontri in quanto trovato sulla scena del crimine e in quanto ricostruito dalle analisi medico-legali. Alcuni particolari erano conosciuti, al tempo delle confessioni, soltanto dagli inquirenti e da chi ha confessato. 

- la macchia di sangue di Valeria Cherubini, sporcata da quello di Mario Frigerio, trovata sul battitacco della loro Seat Arosa

- il riconoscimento visivo da parte di Mario Frigerio, scampato alla strage e testimone in aula.
riconoscimento confermato in udienza

- la perfetta adesione della ricostruzione fatta dall'accusa, rispetto a quanto confessato e rispetto all'unica ipotesi percorribile. In pratica, non potrebbero essere stati che loro.

- Olindo e Rosa avevano il movente dell'odio atavico per Raffaella Castagna e la sua famiglia

- non può essere stata opera di rapinatori. Nessuno ha rapinato nulla e non si vede perchè i rapinatori avrebbero dovuto incendiare la casa. Ipotetici rapinatori non avrebbero avuto necessità di uccidere Valeria Cherubini e tentare di uccidere Mario Frigerio

- non può essere stato un commando per una ritorsione su Azouz, sempre per il motivo che non ci sarebbe stato bisogno di aggredire i Frigerio

- nessuno è stato visto allontanarsi dalla corte di via Diaz impregnato di sangue. Solo Olindo e Rosa avevano a 15 metri un posto dove svestirsi e lasciare tutto su un tappeto

- nessuno avrebbe potuto scappare dai tetti. I lucernari erano chiusi, non c'erano sedie sotto e sono a una certa altezza. Nessuna traccia sul tetto, nessun segno.

- nessuno avrebbe potuto saltare dal terrazzino di Raffaella Castagna, perchè l'accesso al terrazzino è stato trovato chiuso e perchè per calarsi da una grondaia a circa tre metri e mezzo di altezza avrebbe lasciato tracce di sangue. Idem se fosse saltato dal terrazzino

In sintesi, le motivazioni del piemme Astori sono state queste. 
Se a qualcuno viene in mente qualcos'altro, lo aggiunga pure nei commenti, io aggiornerò il post.
Spero di essere stato chiaro.

lunedì 24 novembre 2008

L'ARRINGA? GIA' SCRITTA. IN UN LIBRO. ANZI, DUE


Oggi ero in udienza e pensavo: ma questi qui leggono il blog e stanno facendo tutto ciò per dimostrami quanto abbia ragione?
Scusate, questi qui sono nell'ordine Fabio Schembri ed Enzo Pacia
Toccava a loro, alle arringhe difensive.
Parte il primo, devo dire in gran spolvero, e spara giù un'arringa di quelle toste. Precisa, dettagliata, ben recitata, forte insomma. Cosa dice: andate a leggervi cosa hanno scritto gli autori de "Il grande abbaglio" e lo saprete. Esattamente la tesi di quel libro uscito mesi fa. Pari pari. Tanto valeva leggersi il libro. Battute a parte, la commistione tra arringa e libro è stata imbarazzante. 
Pacia ha fatto di più. Ha articolato il 70% della sua discussione sui contenuti di un altro libro: "Vicini da Morire" di Pino Corrias. Pezzi interi di libro letti durante l'arringa, soprattutto per avvalorare la richiesta di perizia psichiatrica per i due coniugi, per i quali Pacia ha chiesto l'assoluzione e, in subordine, la perizia appunto.
Ma l'apoteosi del doppio binario, quello per cui le dinamiche mediatiche hanno prevalso spesso su quelle giuridiche è stato il colpo di scena finale di Pacia che ha chiesto un supplemento di indagine per verificare l'attendibilità di una tizia che, intervistata il 15 dicembre in piazza a Erba da La Provincia, dice di aver visto Valeria Cherubini pochi minuti prima che morisse e che erano le 20.16. Fatto che cozzerebbe con gli orari ipotizzati dalla pubblica accusa.
Dopo i libri, a determinare l'esito del processo, e non il contrario, sono i giornali. L'avevamo già visto con la richiesta di remissione da parte della difesa. Ora si chiede un 507, in pratica la riapertura della fase dibattimentale.
Mercoledì toccherà al piemme Astori replicare. Poi la Corte d'Assise si chiuderà in Camera di consiglio. E lì deciderà il da farsi.  

domenica 23 novembre 2008

ULTIMA SCENA

Domani toccherà alla difesa. 
Il trio Pacia-Schembri-Bordeaux occuperà, presumibilmente, l'intera giornata con l'arringa. 
A dir la verità, è probabile che le arringhe siano tre.
Poi, è quasi certo che il pm Massimo Astori voglia chiudere il discorso, usufruendo del diritto di replica, mercoledì. Quindi, Camera di consiglio e, prima di sera, sentenza. Un'ipotesi, quest'ultima, perchè nessuno può sapere quanto tempo dovrà prendersi la Corte d'Assise che, in ogni caso, una volta chiusa in Camera di consiglio non ne potrà uscire se non con la sentenza.
Insomma, il circo è prossimo a levare le tende. Facile immaginare che per l'ultima puntata ci sia qualcuno che non vorrà perdersi la scena. Facile, quindi, che la sala sia gremita.
Saranno contenti gli avvocati, che già nell'ultima udienza si sono lamentati per l'eccessiva attenzione offerta dai media alla requisitoria di Astori.
Vabbè, poche battute ancora, poi tireremo le somme. 


giovedì 20 novembre 2008

OlINDO PARLA, MA NON DICE NULLA

Olindo e Rosa hanno avuto l’ultima possibilità. E l’hanno sprecata. Hanno avuto la possibilità di ammettere, nemmeno si può pensare a un pentimento, ciò per cui sono stati rinviati a processo, e hanno ignorato, come del resto lungo l’intero processo, quanto chi è intervenuto stava chiedendo loro.Ieri sono stati gli avvocati delle vittime della strage, le cosiddette parti civili, ad aprire la porta per un ultimo spiraglio di dignità. L’ha fatto soprattutto Francesco Tagliabue, non a caso il legale della famiglia Castagna, che nella sua arringa ha chiarito l’unica cosa ancora chiaribile: che nessun risarcimento potrà mai riparare il danno causato. E che l’unica forma risarcitoria, almeno sul piano della dignità, perché la vita dei protagonisti di questa vicenda è totalmente compromessa, poteva essere soltanto un’ammissione di colpa da parte dei coniugi. Un modo per rimettere tutto a posto e per resettare un processo che non sarebbe dovuto essere celebrato. Chi si aspettava da Olindo Romano o dalla sua Rosa Bazzi un rigurgito di umanità è rimasto deluso. Forse, però, nemmeno troppo, visto che l’ipotesi di un ravvedimento da parte dei due imputati accusati di aver trucidato tre donne e un bimbo e ridotto in fin di vita un uomo era, è e, a questo punto, resterà un’ipotesi lontanissima. Olindo Romano, come anticipato dai suoi legali, è, in verità, intervenuto in aula tramite la formula delle dichiarazioni spontanee. Con il suo solito modo surreale di porsi di fronte alla Corte. Surreale sia che lo si pensi colpevole, sia che lo si voglia innocente. Credeteci, la non curanza con cui Romano parla di fatti assurdamente tragici è ancor più agghiacciante dei fatti stessi. Da un innocente diretto spedito verso il carcere a vita e tre anni di isolamento, ci si aspetterebbe, insomma, ben altro atteggiamento. Invece, un manto di indifferenza sembra coprire interamente Olindo, compreso, anzi, soprattutto, quando, con la sua erre moscia e una voce innaturale per un uomo della sua stazza, prende parola e parla. Parla, senza dire. «Niente». Con questa parola Olindo inizia ogni suo periodo. E il quel “niente” è racchiuso tutto il suo totale vuoto, fatto di raccapriccianti, per banalità, puntualizzazioni, servite come piatti freddi, ammalorati, maleodoranti, su una tavola imbandita di orrori. Anche ieri, lo stesso copione già visto mesi fa. Dichiarazioni spontanee a orologeria. Nessuna articolazione di pensiero, semplice rendicontazione stringata, assurdamente concisa e vaga nello stesso tempo, su situazioni che, in realtà, hanno poco a che vedere con ciò di cui si sta parlando. «Niente – ha detto Olindo – ho tralasciato argomenti che vorrei concludere oggi. Tre argomenti: il professor Picozzi, la Bibbia in carcere e gli psichiatri. Niente, su Picozzi voglio dire che era venuto in carcere per farci una perizia psichiatrica. L’aveva mandato l’avvocato di prima, Troiano. Quando arrivò, mi chiese di poter riprendere il colloquio con una videocamera. Una di quelle piccole. Gli dissi che però quel video non doveva andare a finire né sui giornali, né in televisione e lui mi disse che l’avrebbe usato soltanto lui. Ecco, volevo puntualizzare questa cosa. Sulla Bibbia, volevo dire che si posiziona in un contesto in cui io avevo appena fatto una confessione in cui mi ero dichiarato pentito. Di conseguenza, i miei scritti erano in linea con il pentimento. È vero che alcuni scritti sono stati scritti con una punta di rabbia, ma era un modo per sfogarmi. Non erano fatti con risentimento. Non volevo rivendicare proprio nulla. Erano solo uno sfogo e un passatempo, visto che in carcere non si fa mai nulla. Il terzo argomento sono gli psicologi. Me ne hanno cambiati tre e con tutti e tre e ho avuto 50, 60 incontri ma con loro ho sempre parlato solo della terapia, mai dei fatti. Dei fatti ho parlato solo con la psicologa Graziella Mercanti. Di questo e di altri fatti, ma con gli psichiatri solo della terapia.Questi sono gli argomenti che l’altra volta mi sono dimenticato di dire a causa dei miei vuoti di memoria. Mi fermo qui».E lì, per fortuna, si è fermato. Davanti a un’aula basita da quella seconda dichiarazione spontanea fatta da Olindo Romano, senza, in buona sostanza, aggiungere nulla alla situazione sin qui emersa con una chiarezza disarmante. Ieri era la giornata di Olindo e delle parti civili, che hanno chiesto risarcimenti a cui i Romano non potranno mai far fronte. C’è una casa, la loro, che nessuno vorrebbe probabilmente mai comprare e c’è un camper che deve essere ancora pagato. Non hanno altro i due. Ma avanzare le richieste significa per i legali delle vittime guadagnare il diritto di partecipare all’eventuale e scontato processo d’appello.Quindi, lo si fa. Probabilmente, in alcuni casi, mal volentieri. Ma lo si fa. Chi è andato sul concreto, ad ogni modo c’è stato. Come, ad esempio, l’avvocato di Azouz Marzouk , Roberto Tropenscovino, che ha chiesto oltre 2 milioni di euro ai Romano. O come Manuel Gabrielli, legale di fiducia della famiglia Frigerio che ha chiesto alla Corte di mettere in conto una provvisionale immediatamente esecutiva di 320mila euro, per affrontare le spese mediche costosissime a cui Mario Frigerio è sottoposto e costretto. L’uomo, da quanto ha riferito Gabrielli, versa davvero in condizioni tragiche, affetto da un’emiparalisi, ovviamente afflitto da un dolore incommensurabile per la perdita della moglie e mangiato vivo da una sensazione di rimorso dovuta all’incapacità di intervenire, in quella sera dell’11 dicembre 2006, a difesa della amata Valeria. Ed è forse questo, per un uomo che ha dimostrato anche con la sua testimonianza in aula il significato delle parole coraggio e stoicismo, la frustrazione più devastante, in un’esistenza che nemmeno lontanamente potrà riassumere connotati di normalità. Ma le richieste degli avvocati sono destinate a cadere nel vuoto. Materia da assicurazioni, a questo punto.A questo. A questo punto. Dove siamo approdati? All’ultimo capitolo di una storia che sembra durata anni e nel contempo un solo giorno e che ci lascia una triste e macabra consolazione: più la si guarda, più la si analizza, più il quadro si fa chiaro, completo, semmai ce ne fosse bisogno. Una serie di tasselli, ciascuno pesante come un’enorme pietra, è andato gradualmente a comporre un puzzle per nulla complesso, in realtà. Se si esclude la complessità dell’ammettere una simile barbarie. Toccherà al collegio difensivo ora. Lunedì, ha intimato il presidente della Corte, Alessandro Bianchi, l’arringa del collegio formato da Enzo Pacia, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, dovrà iniziare e concludersi. “Ma è troppo poco il tempo a nostra disposizione”, ha obiettato l’avvocato Enzo Pacia che, però, davanti alla proposta di Bianchi di cominciare già ieri nel pomeriggio ha ripiegato sulla settimana prossima.Cosa accadrà lunedì? Facile immaginare che vi possa essere, quale ultimo disperato tentativo della difesa, la richiesta di una perizia psichiatrica per i due imputati. Tentativo disperato perché, oggettivamente, ha scarse possibilità di essere accolto. Quindi, con monitor e quant’altro, anche i difensori insceneranno la loro ricostruzione dei fatti. Spiegheranno, diranno, ipotizzeranno. Dimenticandosi e cercando di far dimenticare, anche se ciò non è possibile, che i due imputati sono in aula e che dalla loro viva voce, in tutto il processo, non è uscito nulla che potesse, in qualche modo, fornire una versione dei fatti alternativa. Qualcosa che rafforzasse quel ragionevole dubbio che sarà per i giudici della Corte d’Assise il parametro su cui dovranno articolare la loro sentenza.

martedì 18 novembre 2008

ERGASTOLO = FINE PENA, MAI.

Ok, ok... ci soooonoooo.
Allora, come direbbe il Presidente della Corte d'Assise Alessandro Bianchi, dove eravamo rimasti?
Eravamo alla ricusazione e alla remissione da parte del collegio difensivo.
Per chi si fosse perso qualche puntata, respinte entrambe.
Detto ciò. Il processo è ripreso con la requisitoria del Pubblico ministero, Massimo Astori.
Nei prossimi giorni metterò on line versione integrale.
Posso anticipare, per chi non l'avesse letta altrove, che è di una completezza imbarazzante e rimette in fila una serie di prove che, lungo il dibattimento, erano finite in zone d'ombra. 
Ma di ombra, lì, in quella requisitoria, non c'è traccia. 
Astori ha chiesto ergastolo per entrambi i coniugi oltre a tre anni di totale isolamento.
Visto le dinamiche di coppia tra i due, probabilmente il colpo mortale.
Ergastolo = fine pena, mai.
Domani tocca alle parti civili. Anche Olindo sembra debba fare dichiarazioni spontanee.
Poi, lunedì prossimo, inizieranno le arringhe dei difensori.
Che dire del piano mediatico? Nulla, nel senso che è tutto come prima. 
Gran caos, gran battage su tutte le reti e tutti i giornali, compreso quello in cui lavoro io.
Ma l'impressione è che la gente, il pubblico pagante, sia un po' stufo di tutto ciò.
E, in verità, un po' stufo lo sono anch'io. 
Manca poco, dai, e vi porteremo fuori da 'sto inferno.

venerdì 16 maggio 2008

RICAPITOLANDO

Intanto, la prima notizia: questo blog è vivo e vegeto.
E' soltanto in "ferie" vista la sospensione del processo, dovuta a due istanze inoltrate dal collegio difensivo: una di ricusazione (dei giudici) e una di remissione del processo, secondo l'accusa che vorrebbe Espansione Tv, televisione locale di Como, fomentatrice di una campagna di odio verso i due imputati.

Su quest'ultima istanza dovrà pronunciarsi la Corte di Cassazione ed è probabile lo faccia entro la fine di giugno.

Sulla ricusazione, invece, un giudizio da parte della Corte d'Appello di Milano, competente in materia, è già arrivato ed è così riassunto sul quotidiano La Provincia:



"Le dichiarazioni di ricusazione - scrivono i giudici -
indicano del tutto ingiustamente una sorta di illegittimo preconcetto". Nel
rigettare l'istanza, il relatore provvedimento, Massimo Maiello, scrive che "in
nome della asserita ed enfatizzata concludenza in termini di colpevolezza della
singola risultanza probatoria, con un'operazione logica suggestiva del tutto
ingiustificabile, si costruisce, invero, un'inesistente manifestazione di
convincimento dei giudici sui fatti oggetto dell'imputazione".
Il trio Pacia, Schembri, Bordeaux ha già annunciato la volontà di appellarsi alla Cassazione contro questa sentenza, fatto che comporterà, ovviamente, un'ulteriore dilatazione dei tempi del processo. Processo che, ragionevolmente, non riprenderà prima del prossimo mese di settembre.

lunedì 21 aprile 2008

UNA SCELTA NON SEMPLICE

Il post precedente non è passato inosservato e la posizione di Beppe Castagna è stata criticata.
Di seguito ecco un'ulteriore, credo definitiva, spiegazione da parte di Beppe di alcuni fatti accaduti. Resta, ovviamente, la piena disponibilità a pubblicare qualsiasi posizione relativa al tema del blog: ovvero il doppio binario tra processo mediatico e processo giuridico.


Le udienze in Assise non riprenderanno prima del prossimo mese di settembre, forse anche ottobre. Fino ad allora il ragionamento non resterà in sospeso, perchè questo sarà un buon momento per dedicarsi, senza frenesia, alla riflessione.

"Ho cercato in più di un’ occasione di spiegare il motivo che ci ha spinti ad andare nel “salotto di Vespa”, ma vedo che purtroppo c’è sempre qualche benpensante che ci critica.
Alla persona che ha scritto il commento dandomi del moralizzatore senza peraltro avere il coraggio di dare le proprie generalità, mi sento semplicemente di rispondere che dopo aver passato i primi dieci giorni letteralmente assediati da giornalisti al campanello e fotografi arrampicati sulla recinzione di casa, dopo aver letto e sentito illazioni di ogni genere nei nostri confronti, dopo aver subito incursioni da parte di troupe televisive in casa, ragionammo sul fatto di rompere il silenzio e molto ingenuamente pensammo che il “salotto di Vespa” potesse essere un ottimo deterrente a tutta questa curiosità morbosa nei nostri confronti. Per chi conosce l’ ambiente, il fatto di aver scelto quel salotto e non un altro, dovrebbe essere una garanzia di buona fede in più. Concludo esprimendo il mio rammarico di dover giustificare me e la mia famiglia per l’ ennesima volta su una scelta fatta in un momento tanto doloroso"
.

Beppe Castagna

venerdì 11 aprile 2008

I BUONI E I CATTIVI

Ricevo e con piacere posto, dietro sua diretta autorizzazione, questa mail firmata Beppe Castagna.
Il fratello di Raffaella interviene commentando il post precedente: “Siamo tutti Dr House” e lo fa da un punto di vista tragicamente particolare. Un po’ a sorpresa, per me, ma forse non per chi legge, Beppe Castagna spiega come abbia vissuto l’impatto mediatico sul processo e come, nel corso delle udienze, la sua posizione si sia modificata radicalmente.
Ringrazio Beppe per il suo contributo al ragionamento e ribadisco come questo blog sia aperto a chiunque volesse intervenire, anche in maniera così diretta.

“Ho sempre pensato e ne sono ancora convinto che la morte è e deve restare un momento privato, intimo, da condividere con i propri parenti o amici. Purtroppo ai miei cari questo diritto è stato negato. Quanti sconosciuti hanno visto le foto dei loro corpi straziati e hanno saputo nei minimi particolari le cause che ne hanno provocato la morte? Quanti sconosciuti hanno assistito ai loro funerali?

Fino a poco tempo fa tutto ciò mi faceva ribrezzo, il solo pensiero che qualcuno scrivesse un articolo o addirittura dei libri su questa tragedia, mi faceva star male, sono sincero, anche il tuo blog e le trasmissioni di Romualdi non mi erano troppo simpatici. Essere dimenticati, cancellare le parole “strage di Erba” dal ricordo di tutti, era il mio desiderio, forse ancora di più della giustizia.
Durante la prima udienza io e la mia famiglia siamo stati l’ unica parte civile a chiedere che non avvenissero le riprese del processo, non ti dico quel giorno l’ effetto che mi fece sentire l’ avvocato Pacia dire di sentirsi “tutelato” dalla presenza dei media.

Oggi sono io il primo a sentirmi tutelato dalla loro presenza.
Un processo è ben altra cosa rispetto ad un’ operazione chirurgica, non ci sono solo momenti tecnici non comprensibili ai non addetti ai lavori. Per la stragrande maggioranza, sono momenti umani, dove ci si può fare facilmente un’opinione sull’ onestà o meno di un testimone o di un perito. Non è difficile capire chi sono i buoni e chi sono i cattivi.

Beppe Castagna

mercoledì 9 aprile 2008

SIAMO TUTTI DR HOUSE

Volevo tornare sul tema del doppio binario, semmai l’abbia abbandonato nel frattempo.
Il processo si è fermato, causa istanze di rimessione e di ricusazione inoltrate dal collegio difensivo, e, a bocce ferme, vale la pena rispolverare una riflessione che già era emersa nel corso del dibattimento.
La domanda è: il doppio binario, giuridico e mediatico, lungo cui si è sviluppato fin dai suoi primi vagiti questo processo è un fatto dannoso, oppure attiene semplicemente a un’evoluzione del costume che vuole cittadini sempre più informati in particolare sulla cronaca nera e rosa?
Confrontandomi con chi ne capisce molto più di me, sono giunto a una conclusione: il doppio binario è deleterio. Spiego il perché.
Di fatto, il processo è stato duplicato in ogni sua udienza, in tempo reale, quasi in simultanea, dai media di tutta Italia. Testimonianze, relazioni, interventi: tutto quanto è passato in aula è stato vivisezionato poi nei vari telegiornali, negli studi televisivi e, in ultima analisi, per strada o al bar.
A parte il fatto che un sacco di documentazione resta oscura al pubblico, il problema sta negli strumenti di elaborazione. Lo dicevamo in questo post, parlando di grande effetto moviola, ma se sul calcio è legittimo che tutti possano dire la loro, trattandosi, malgrado i milioni messi in circolo, di un gioco, non è altrettanto logico che ognuno di noi si improvvisi giudice, avvocato, o piemme.
L’esempio mi è stato fatto sempre da chi può capire meglio di me questa situazione, e mi è parso illuminante: pensate se invece di un’aula di giustizia, sotto i riflettori ci fosse una sala operatoria. Con quale cognizione la gente andrebbe a sindacare su un’incisione al bisturi o la sutura di una ferita? Al di là del fatto che l’argomento potrebbe non interessare il target televisivo (ma non ne sono certo), sarebbe forse immaginabile una simile sovrapposizione di ruoli tra medici e utenti?
Direi proprio di no. Nel nostro caso, invece, tutti, ma proprio tutti si sentono autorizzati a ergersi a giudici.
Il fatto è che nessuno si tira indietro.

lunedì 7 aprile 2008

PARADOSSI


“Una vecchia tigre da Corte d’Assise. Un principe del Foro. Una difesa agguerrita e di grande esperienza”. Così Marco Romualdi (di spalle nella foto), cronista di Espansione Tv, ha definito l’avvocato Enzo Pacia nella prima delle sue trasmissioni speciali sul processo della strage di Erba.

Risposta, contenuta nell'istanza di rimessione del processo: “Va rilevato che alle corali manifestazioni di acredine (da parte dei telespettatori) si associava regolarmente il conduttore (Romualdi) che aveva instaurato un sistema devastante di diffusione del risentimento popolare”.


Bah...

domenica 6 aprile 2008

NON GIOCO PIU', ME NE VADO

Dulcis in fundo, la Corte è stata ricusata. I Giudici dell’Assise comasca, secondo il collegio difensivo guidato da Enzo Pacia, non sarebbero stati imparziali nella conduzione del processo.
In particolar modo, facendo ascoltare in aula l’audio di Mario Frigerio in cui molti dei presenti hanno riconosciuto il nome di Olindo Romano nelle primissime parole del testimone ridotto in fin di vita al Sant’Anna, i Giudici, sempre a detta di Pacia e soci, avrebbero debordato dal loro compito. Le motivazioni della ricusazione sono anche altre, ma mi soffermo sulla questione dell’audio.
La cosa è andata così: visto che esisteva un dubbio dovuto a tre perizie discordanti su un passaggio cruciale della testimonianza di Frigerio, la Corte ha dovuto valutare nei giorni scorsi, su richiesta della stessa difesa, se ordinare una nuova perizia sul nastro e dirimere una volta per tutte la questione. Prima di farlo, però, scrupolosamente, il nastro è stato sentito e risentito nuovamente dalla Corte che, clamorosamente, è il caso di dirlo, si è accorta di un’altra frase pronunciata da Frigerio in quella prima e faticosissima deposizione: il passaggio fatto poi udire in aula in cui il nome di Olindo pare emergere chiaramente. La “scoperta” ha, ovviamente, reso superflua qualsiasi altra perizia su quel nastro.
La difesa, presente in aula, non ha avanzato la benché minima obiezione immediata.
Lo stesso Pacia, pochi istanti dopo il termine dell’udienza, ha parlato di un “fatto nuovo nel processo”, salvo poi tornare sui suoi passi, fino ad arrivare alla ricusazione.
Difficile davvero interpretare l’operato del collegio difensivo.

giovedì 3 aprile 2008

SUGGESTIONE? NO, GRAZIE


“…perché è stato l’Olindo…l’avevo visto…l’ho capito perché hanno aperto. Per me è stato l’Olindo, al cento per cento. Non era un tipo che parlava…(è stato l’Olindo…)”
Sono passati quattro giorni dalla strage, Mario Frigerio, strappato alla morte, tra le sue prime parole pronuncia anche queste davanti al piemme di Como, Simone Pizzotti.
Tre consulenti e un perito incaricati dalle parti e dalla Corte non le avevano annotate nelle rispettive trascrizioni. I Giudici, invece, non se le sono fatte sfuggire e oggi le hanno fatte ascoltare a un’attonita aula di Tribunale. Il nome di Olindo è riecheggiato almeno per tre volte in quella frase. Un duro colpo per difesa e imputati, perché ciò significa che il testimone oculare difficilmente può essersi suggestionato in questo ultimo anno prima del processo, ma ha offerto, a poche ore dal risveglio in ospedale, un’immediata, inequivocabile e spontanea indicazione sul suo aggressore.

mercoledì 2 aprile 2008

...E' STATO L'OLINDO...

Colpo di scena!
La Corte d'Assise chiede venga ascoltata in aula la primissima deposizione di Mario Frigerio (15 dicembre 2006, quattro giorni dopo la strage) dal letto dell'ospedale Sant'Anna. Una frase non riportata né dai consulenti della difesa, né dal perito della Corte lascia intuire chiaramente un passaggio fondamentale in cui Frigerio dice: "...è stato l'Olindo. L'ho visto benissimo. Per me è l'Olindo...Erano dentro...".
Il testimone oculare, quattro giorni dopo la strage, praticamente appena aperti gli occhi, aveva già riconosciuto il suo aggressore.
Due considerazioni.
La prima: grandi i Giudici della Corte d'Assise; la seconda: ma i consulenti a cosa servono?

lunedì 31 marzo 2008

TIREM INNANZ!!!

Corte d'Assise: Per motivi di economia processuale e per il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, appare opportuno proseguire fino allo svolgimento delle conclusioni, e ordina che venga trasmessa alla Cassazione l’istanza di remissione.
Ordina quindi di trasmettere l’istanza immediatamente alla Cassazione e ordina il proseguimento dell’udienza fino al termine dell’istruzione dibattimentale.

UNA NUOVA PARTE NEL PROCESSO: LA TV LOCALE

Avv. Enzo Pacia: "L'oltraggiosa campagna televisiva locale è diventata intollerabile e non garantisce obiettività di giudizio. La difesa è stata limitata nella presentazione delle prove. Angoli bui in questa vicenda ce ne sono. Per questo presenteremo istanza di remissione ad altro giudice.
Intendo invece ringraziare la stampa nazionale e televisione nazionale, per l’ottimo servizio reso a questo processo".

venerdì 28 marzo 2008

TESTIMONI DEL 27 MARZO (TORRE)

Di seguito è riportata la deposizione del dott. Carlo Torre, consulente della difesa che ha relazionato nel dettaglio sulle analisi fatte sui corpi delle vittime. Si avverte che i contenuti della deposizione sono di particolare crudezza.


Carlo Torre, consulente tecnico difesa, medico legale.

Abbiamo esaminato essenzialmente le relazioni tecniche, la consulenza tecnico legale del Pm, altri documenti, abbiamo avuto accesso al luogo dei fatti ed esaminato alcuni reperti.
Spiace dirlo, ma si tratta di un caso in cui le indagini medico legali svolte non sono soddisfacenti. Le indagini necroscopiche sono insoddisfacenti. Io non credo, intanto, che in un pomeriggio dalle 14 alle 22, si possano svolgere ben 4 autopsie. Inoltre, è la prima volta in cui mi imbatto in un caso in cui un cadavere non viene completamente rasato. Con questo modo di procedere alcuni elementi più fini potrebbero essere sfuggiti. Dalla relazione del dott. Scola traspare una sorta di conclusione tratta dall’esame di reperti oggettivi e di semplici “sentito dire”. Più d’una volta ci si imbatte in conclusioni che derivano tra una commistione pericolosa tra ciò che si è osservato e ciò che si sa. Quale elemento tecnico legale, ad esempio, può portare il dottor Scola a dire che due elementi si siano introdotti nell’appartamento e non fossero già dentro? Ho sentito parlare di spigoli acuti e spigoli smussi, non si capisce cosa sia uno spigolo smusso e liscio.

Torre estrae alcuni coltelli dalla sua borsa e dimostra alcune azioni con una lama e relative conseguenze. Poi inizia con un'analisi vittima per vittima.

Youssef
Siamo d’accordo sulle cause della morte del bimbo, non sulle modalità in cui è avvenuto il perimento. Le escoriazioni sul volto possono essere state prodotte anche da una mano, ma una mano che immobilizza non avrebbe prodotto soltanto quelle escoriazioni. Ci sarebbero ecchimosi nel volto di un piccolo vivace immobilizzato. Le escoriazioni, secondo me, sono state prodotte da una mano che lo premeva sul divano. Ma non una mano che lo immobilizzava. Il bambino è stato ucciso in un’altra posizione rispetto a quella in cui è stato trovato. Una cosa così sfumata non so bene cosa sia, ma non è una mano che trattiene. La questione dei guanti, sinceramente, era un’altra di quelle manifestazioni perlomeno strane della accusa. Non potevano essere certo guanti di lattice. Sarebbe stato interessante avere un esame istologico sull’ustione del bambino, che mi avrebbe detto qualcosa sulle condizioni del bimbo nel corso dell’incendio. Si vede benissimo che la guancia sinistra è nettamente priva di nerofumo, perché quella porzione del volto del bambino era protetta da qualcosa. Non ci sono linee sfumate, nulla. La ferita alla carotide non ha prodotto schizzo, che invece dovrebbe essere stato prodotto, se il bimbo fosse stato sul divano così come è stato trovato. Se, invece, il bimbo fosse stato lasciato prono sul divano, con il viso premuto sul cuscino di seduta, il divano avrebbe tamponato la sua emorragia con il coagulo del sangue che sarebbe finito tutto sulla seduta del divano. Anche secondo me è logico pensare che la mano omicida fosse una mano sinistra, perché la ferita dimostrerebbe questo particolare.


Paola Galli
Siamo d’accordo che la morte è da trauma cranico e che le ferite al collo sono di rilevanza piuttosto modesta. Ma di nuovo ci troviamo di fronte alla ricostruzione degli eventi sulla base di sentito dire. Le lesioni sono omogenee, quindi è stato usato un solo coltello. Ma le lesioni che il dott. Scola descrive (ferite lunghe da 1,7 cm a 3,5) non sono definibili omogenee. Il dott. Scola parla di spigoli lisci riferendosi alle ferite del capo. Come può il dott. Scola dire che le ferite del capo non abbiano margini escoriati? Invece sono molto escoriate, il profilo rosso intorno alla ferita sono proprio le escoriazioni. Non si può non pulire bene il campo di osservazione. Non c’è stata rasatura. In questi casi io reperto sempre gran parte del cranio, la porto in laboratorio, la scheletrizzo e la ricompongo. La signora Galli è stata cagionata dai traumi alla testa. La donna è stata trovata prona, con un’azione di coltellate che dimostrano una precisa decisione di colpire una regione mortale. In tutte le immagini non ci sono mai le macchie da brandeggio dell’arma. Non abbiamo tracce di questo movimento, ciò fa pensare che l’arma usata fosse molto pesante. Sicuramente è stata colpita quando era a terra, non so dire se sia accaduto anche quando era in piedi. Le ferite da taglio sono state inferte sul corpo quando era sul pavimento, nella parte destra del collo, ed è più facile che sia stata usata la mano destra. Il coltello usato non doveva essere molto lungo. È possibile che il coltello usato sia lo stesso usato col bambino. Per tutte le vittime potrebbero essere stati usati gli stessi coltelli.

Raffaella Castagna
Non so come il dott. Scola possa essersi sentito autorizzato a dire che siano state usate due armi diverse. Potrebbe essere invece stata usata un’arma sola, o più armi ma della medesima foggia. Raffaella aveva una grave ferita al collo sulla parte destra. Se era supina al momento della morte, potrebbe essere stata colpita da una mano sia destra sia sinistra. Se fosse stata girata, allora sarebbe più logico che sia stata usata una mano destra. Sulla sua testa ci sono ferite lacero contuse con evidente escoriazioni dei margini. Ma ha due ferite a margini molto netti. In profondità, pare di vedere una frattura lineare. Non mi sentirei di escludere si sia trattato di un’accetta o qualcosa di simile. O sono stati usati due strumenti o di uno solo in grado di produrre lesioni da trauma a superficie pianeggiante sia da fendente. C’è poi una lesione al sopracciglio di Raffaella. Tre linee parallele e continue fanno pensare a un oggetto che ha, per la sua forma, causato le tre linee. (Torre estrae una pesante carrucola, per mostrare che arma potrebbe essere stata usata). Anche per Raffaella doveva trattarsi dello stesso coltello di dimensioni contenute.

Valeria Cherubini
È il caso più interessante. Cadavere inginocchiato al suolo e indumenti poco sporchi di sangue. Non c’è stata colatura di sangue sugli indumenti. La donna non può avere subito lesioni importanti alla testa con indosso quegli indumenti e non può avere camminato in posizione eretta senza sporcarsi di sangue. La donna è stata accoltellata con indosso il giaccone e poi finita in un secondo tempo, una volta sfilatole il giaccone. La Cherubini ha la mano sinistra sporchissima di sangue, perché era la mano in cui erano presenti le vistose ferite da difesa. La mano destra, invece, sul dorso non ha sangue. Il palmo è invece sporco di nero. Può essere che la signora abbia toccato il nerofumo salendo verso l’appartamento. È possibile. Ma può anche essere che nella prima fase la signora abbia resistito a una colluttazione afferrando il corpo contundente sporco di “morchia” (il grasso nero dei ferri da lavoro). È solo un’ipotesi che butto lì. Anche nel caso della Cherubini si ipotizza l’uso di due armi punta e taglio. Ma non si capisce come il dott. Scola possa dirlo, visto che le ferite sono concentrate in una piccola zona. Le ferite lacero contuse del capo hanno portato a una sorta di maciullamento, difficilmente riconducibili a un leverino come quello ipotizzato. Poi ci sono ferite occipitali che suggeriscono l’uso di uno strumento fendente. Le fratture del capo fanno pensare a uno strumento di dimensione limitata, un martello tondo o una semisfera. Gli indumenti sono poco sporchi di sangue sia in relazione ai traumi al capo, sia in relazione a quelli al collo, tutte molto sanguinanti. Non c’è sangue nello stomaco, né nei polmoni. Della signora esistono tracce di sangue piccole sulla scala. Ma non schizzi vistosi e consoni al tipo di ferite mortali riportate. Quindi non furono le ferite alla testa e al collo quelle subite prima della salita dalle scale. Anche se la sciarpa che indossava la Cherubini può aver assorbito del sangue e la sciarpa ha riportato coltellate. Il giaccone presenta soluzioni di continuità da tagliente, di cui soltanto una lo attraversa completamente. Ma come mai il giaccone è poi finito dietro la schiena della Cherubini?
Nella tenda c’è una netta coltellata. Si vede chiaramente una lacerazione in cui i margini sono nettissimi, con un taglio e una lesione da punta e taglio. La signora Cherubini potrebbe essere stata colpita mentre era dietro alla tenda. Le macchie di sangue sul vetro ci fanno pensare che la signora Cherubini sia stata ferita per le scale alla mano e forse anche con un colpo in testa, sia poi scappata di sopra, sia arrivata vicino alla tenda e lì sia stata percossa e accoltellata in una possibile colluttazione, si sia poi inginocchiata e sia stata accoltellata al collo e in altre parti. C’è un fatto strano, però. Sul muro interno della casa di Raffaella Castagna, vicino all’ingresso, c’è uno schizzetto di sangue appartenente a Valeria Cherubini. Potrebbe essere stato prodotto da una persona che teneva in mano un coltello sporco di sangue. Una via di fuga plausibile potrebbe essere stata casa Castagna, da balconcino in particolare. Da lì si può saltare sia in strada, sia nella corte. Ciò potrebbe essere successo anche dopo il primo allontanamento di Bartesaghi e di Ballabio. Sulla superficie interna della porta di ingresso di Raffaella Castagna ci sono cose che sembrano macchioline di sangue, proiettate contro quella porta e poi colate. Quelle macchie non sono mai state repertate. Se fossero di Raffaella, e se fosse davvero sangue, il feritore dovrebbe essere stato all’interno rispetto alla stessa Raffaella, perché se fosse stato tra Raffaella e il portoncino, il suo corpo lo avrebbe schermato. Le varie ferite da taglio sembrano date da una mano esperta, tutt’altro che a caso.

Corte d’Assise:
Ma il taglio che lei vede nella tenda, non sembra esattamente come lei lo ha descritto. Non potrebbe essere un buco fatto con un dito ad esempio?
T: A dire il vero, quell’esame non l’ho fatto io, ma a me pare che non possa essere che un taglio.

La macchia sull’auto.
Non ho nulla da obiettare sul metodo con cui è stata analizzata la macchia dal dott. Previderè. È chiaro che sull’auto è stata trovata una traccia da cui è stato estratto un profilo genetico appartenente alla Cherubini. È una traccia di cui non conosciamo la forma, perché era invisibile.
La sede su cui è stata trovata (il battitacco dell’auto di Olindo Romano) fa pensare che sia stata lasciata da una scarpa. Non sappiamo chi l’abbia lasciata. La corte di via Diaz era ricca di sangue portato in giro dai soccorritori e dall’acqua pompata dai pompieri. Chiunque potrebbe aver lasciato quella traccia sul battitacco dell’auto e non necessariamente in quella sera. Compresi, ovviamente, i coniugi Romano. Perché il sangue, soprattutto coagulato, è un elemento resistente ed elastico, difficile da annientare. Se fosse stato fatto un prelievo su tutte le auto lì presenti, scommetterei che non era una soltanto l’auto sporcata di sangue.


Corte d’Assise. Ma, alla luce di quanto ha detto finora, faccia una ricostruzione, secondo le sue ipotesi, di quanto potrebbe essere successo. Se è in grado…

T: Sinceramente non mi sento di fornire una ricostruzione precisa in tal senso. Non so se qualcuno era già all’interno dell’appartamento o se sia entrato. Non so quante persone potrebbero essere state. È ragionevole pensare che fossero almeno due, ma è possibile che sia stata una sola persona. Non necessariamente la mano che colpiva doveva essere quella di un mancino, ma è possibile che lo sia stata. Io non so dire cosa è successo lì dentro, non so dire chi è stato ucciso prima o dopo. Posso solo confermare solo la dinamica della morte della Cherubini. Potrebbero essere state due, tre persone, una delle quali potrebbe essere uscita dalla porta principale, l’altra potrebbe aver seguito la Cherubini di sopra e poi essere scappata per altre vie, per i tetti o saltando dal balcone della Castagna.
La prossima udienza di lunedì 31 marzo vedrà le parti impegnate nell'esame e nel controesame del teste, con la replica diretta del dott. Giovanni Scola, consulente della Procura.

giovedì 27 marzo 2008

TESTIMONI DEL 26 MARZO (CHIEPPA)

Nunzia Chieppa, psichiatra, consulente tecnico difesa

Ho esaminato il materiale processuale che mi è stato fornito. Non ho mai incontrato i due imputati, ma solo sulle carte. Devo dire che è una modalità un po’ anomala. Mi sono domandata qualcosa sulla credibilità clinica delle confessioni e se quando le rendevano fossero in grado di capire ciò che dicevano. Le personalità dei due sono state tra loro trainanti. Mi ha colpito subito la possibilità che i due potessero avere un quoziente intellettivo ridotto. La misura del quoziente intellettivo può avere un peso concreto nella commissione di un reato. La mia conclusione è che la signora Bazzi è affetta da un quadro in cui l’aspetto delirante è preponderante. Si tratta di un delirio persecutorio. La relazione di coppia tra i due imputati è una relazione tra una bambina e un adulto. Rosa ha coinvolto, indotto, e portato Olindo a fare sempre ciò che ha fatto. Olindo potrebbe essere soggetto a psicosi indotta. L’induttore è sempre stata Rosa. Si tratta di una coppia autistica, il cui percorso può aver portato a una situazione esplosiva. Tutte le mie considerazioni partono dall’assunto che gli imputati siano gli autori dei fatti che vengono loro contestati. Sulla loro capacità di intendere e di volere al momento del compimento del reato, ogni considerazione va rimandata ad altri approfondimenti.

Avv. Pacia. Negli atti ha ravvisato qualche episodio di dissociazione della personalità?
La dissociazione è un elemento clinico della psicosi, ma dal mero esame degli atti non sono in grado di decifrare la patologia di partenza. Potrebbe essere una sorta di schizofrenia paranoide,
una forma molto grave che potrebbe essere valutata.
P: Potrebbero esserci patologie psichiatriche che meriterebbero di essere valutate e approfondite?
Ci sono elementi che evidenziano presenza di psicosi, propria nella moglie e indotta nel marito.
Siamo nel caso della cosiddetta follia di coppia, che nel confronto con il mondo esterno potrebbe esplodere.

Pm. Astori
Cosa ha trovato nella cartella clinica del carcere?
Annotazioni sanitarie, del medico generico e psichiatriche specialistiche, con relative valutazioni.
Pm: Ha ascoltato i colloqui tra gli imputati intercettati in carcere?
Non ricordo bene. Ma non entrano nella mia consulenza intercettazioni ambientali in carcere.
Pm: Reputa fondamentale l’incontro con gli imputati?
Lo reputo fondamentale. Ho bisogno dell’incontro e del rapporto con il paziente.
Pm: Quanti colloqui potrebbero servire?
Almeno quattro o cinque.
Pm: Se dovesse fare una perizia psichiatrica, di quanto tempo clinico avrebbe bisogno?
Gli incontri non dovrebbero essere troppo ravvicinati, mi servirebbe una media di 10 – 15 incontri, in due, tre mesi.
Pm: Sarebbe un vantaggio periziare gli imputati nell’immediatezza dei fatti?
Se il fatto patologico fosse frutto di un’esplosione, sarebbe un vantaggio.
Pm: Esiste un modo per capire se esistano condizioni di patologia dipendenti dalla situazione carceraria e altre invece preesistenti?
Certo, i due piani di solito vengono tenuti nettamente separati.

Avv. Gabrielli.
Perché non ha chiesto alla difesa di poter visionare il video di Picozzi?
Non l’ho ritenuto necessario.

Corte: cosa fanno gli imputati che per farle sorgere il dubbio che non abbiano una lato quoziente intellettivo?
È una cosa che ho cercato di accertare in seguito.

C: Nelle cartelle cliniche del carcere, sono presenti gli stessi dubbi da parte degli psichiatri del carcere?
Loro sottolineano il rischio auto ed etero lesivo. Questa cosa mi ha colpito. In nessun aggiornamento clinico viene fatto menzione a deliri o allucinazioni. Mi sono chiesta il perché.

TESTIMONI DEL 26 MARZO (FAVARATO, PISANI, GANZETTI)

Massimiliano Favarato. Perito della Corte per intercettazioni dichiarazioni di Mario Frigerio.

Abbiamo analizzato un buon risultato da una micro cassetta. Rispetto a un secondo cd, gran parte del dialogo tra Frigerio e altri non siamo riusciti a trascrivere un gran che. Ho alcuni dubbi sulle parole messe tra parentesi, ma nel 95% dei casi credo di essere ragionevolmente certo di quanto ho sentito. Il consulente della difesa ha fatto osservazioni rispetto a una trascrizione già in suo possesso e al fatto che il file audio utilizzato fosse un po’ velocizzato.
Prima della mia perizia finale ho ascoltato quei nastri anche per cinque volte al giorno.

Corte: tra la sua intercettazione del 15 e quella della difesa ci sono notevoli differenze. Ad esempio, quando il dott. Pizzotti lei scrive: “era scuro” e il consulente della difesa scrive invece: “No, non era qui del posto”.

Favarato: io non l’ho proprio sentita quella frase.

Corte: altro esempio: il suo “Gli occhi neri come Olindo”, per il consulente della difesa diventa semplicemente “non ho visto bene”. È possibile che quando lei scrive tra parentesi “come Olindo” possa andarci un “non ho visto bene”?
F: Guardi, ho riascoltato ancora quel file e oggi addirittura toglierei la parentesi perché sono sicuro di aver sentito “come Olindo”.


Raffaele Pisani. Ingegnere elettronico, consulente tecnico difesa.
Ho partecipato all’audizione a Padova e avevamo una bozza di trascrizione. Ho constatato che la traccia originale era accelerata come quella che avevo io. Ho svolto un’analisi spettrografica della traccia che era in nostro possesso. In questo modo ho potuto verificare la presenza delle vocali e delle sillabe di ogni parola.
Io, sinceramente, quando il perito scrive “Olindo” e non la mia “non ho visto bene” non ho sentito nulla. Non mi sono accorto.

Pm Astori.
Non risulta che alla perizia svolta dalla Meeting siano state fatte osservazioni dei consulenti di parte. Se le osservazioni prodotte oggi (con analisi spettrografica della voce) sono da considerare come osservazioni definitive alla perizia, siano ammesse integralmente. Si dia atto che la difesa a questo punto presenta due perizie di parte che sono contrastanti tra loro.

Luca Ganzetti, consulente tecnico Procura.
Non ho dubbi, ho sentito con le mie orecchie la frase “occhi neri come Olindo”.

TESTIMONI DEL 26 MARZO (MERCANTI)

Graziella Mercanti, psicologa del carcere di Como.

Ho seguito Olindo Romano perché ritenuto a potenziale rischio suicidario, come tutti i detenuti sorvegliati a vista. Distinguo due fasi diverse per Olindo Romano. Inizialmente era diffidente verso le istituzioni e i cosiddetti “strizza cervelli”. Parlava animosamente delle liti, degli alterchi, che, secondo lui erano i fatti che avevano originato i fatti di via Diaz. Parlava spesso della moglie, che definiva indispensabile per vivere. Un rapporto totalizzante, inscindibile. Mi chiedeva se fosse possibile condividere con lei la detenzione.

Corte d’Assise
Ma parlava dei fatti di Erba dandoli per scontati o assumendosene la responsabilità?
Non parlava mai direttamente dei fatti. Parlava d quei giorni e dei fatti in generale.


In una seconda fase è diventato meno polemico, più collaborativo. Mi disse che non riusciva a ricordare esattamente i fatti della strage. La sua emotività si era evoluta. Aveva cominciato a parlare più di sé, parlandomi anche di intenzioni di tipo suicidario, soprattutto in caso la cella matrimoniale fosse stata negata ancora. Al rientro dalle ferie, verso fine agosto, mi raccontò che non era mai salito in quella casa, che quel giorno dell’11 dicembre aveva dormito e che la moglie l’aveva raggiunto in casa chiedendogli di portarla a Como. Da lì in avanti ha usato spesso la frase: “io non sono mai salito”. In un’occasione mi disse che avrebbe smesso di mangiare. Poi mi disse che fino al processo sarebbe stato buono. Era convinto che la pena sarebbe potuta essere divisa in due, visto che la cosa era stata commessa in due. In tempi recenti mi ha parlato anche di presunte violenze psicologiche subite soprattutto negli interrogatori. Olindo ha un tipo di pensiero rigido, simile a quello dei pre-adolescenti. Ha una scarsa autostima, una scarsa fiducia in sé stesso. Fino alla primavera diceva che non sapeva cosa fosse successo e che a un certo punto aveva proprio smesso di pensarci. Con la signora Bazzi ho avuto una ventina di colloqui, da marzo ad oggi.
La Bazzi ha alternato fasi di relativa adeguatezza, malgrado il regime di sorveglianza a vista che è molto duro, a fasi di acuto malessere, con crisi isteriche, con ansia, angoscia, pianti, somatizzazioni evidenti. Si provocava anche ferite leggere. In ottobre e novembre mi riferì anche episodi strani: di continua insonnia e di discussioni con un altro da sé, una persona immaginaria, la chiamava l’altra Rosa. Con lei aveva accese discussioni. Anche con me, nelle fasi acute, era particolarmente ostile. Travolta da uno stato emotivo che non riusciva a controllare. Non ho mai raccolto elementi sul suo passato. Fu lei a raccontarmi del cattivo rapporto con la madre, di avere subito abusi di tipo fisico da familiari. Disse: vorrei essere messo in un istituto con sbarre alle finestre in modo che nessuno possa mai entrare. Lamentava fortissimi mal di testa, problemi nell’assunzione del cibo, mal di stomaco, mangiava poco, bevevo poco. Ho partecipato a uno dei colloqui con i difensori, il nove ottobre, il giorno prima dell’Udienza preliminare. Era in una fase di crisi acuta. Anche lei mi parlava di possibilità di suicidio, perché per lei non ci sarebbe stato futuro, perché lei si sarebbe sempre sentita comunque minacciata. Olindo mi aveva detto che con la moglie c’era un patto: o ci mettono insieme, o ci suicidiamo tutti e due.

Avv. Pacia:
Che tipo di rapporto coniugale esisteva tra loro?
Siamo di fronte a un rapporto totalizzante, esaustivo rispetto a qualunque tipo di esigenza esistenziale, il rapporto diventa un contenitore di esistenza, di natura simbiotica, di dipendenza in cui la Bazzi mantiene un livello di autonomia maggiore rispetto al marito. Un rapporto inscindibile, la moglie è un prolungamento del sé per Olindo, l’essenza stessa della sua esistenza. Olindo potrebbe essere giunto a una spersonalizzazione della propria individualità.

Pacia: Si può parlare di fusione di personalità?
Nel rapporto simbiotico si può parlare di fusione, la coppia comincia a funzionare in maniera univoca, come se invece di due individui ce ne fosse uno solo.
Rosa in carcere mi chiedeva di poter stirare e lavare i vestiti al marito, chiedeva di vedere il marito, ma senza la veemenza di Olindo. Ha sempre mantenuto una certa autonomia dal marito.

Pacia: Ha notato salti logici, raffigurazioni fantastiche?
In più di un’occasione Rosa mi ha parlato di fatti ai margini dell’inverosimile.

Questi soggetti secondo lei sono meritevoli di un’indagine psichiatrica più approfondita?
Credo che entrambi meritino un approfondimento.

Pm Astori.
Cos’è il progetto Dars?
È un trattamento riservato ai detenuti considerati ad alto rischio suicidiario.
Pm: Quando ha riscontrato i primi rischi di suicidio?
Olindo da marzo aprile, Rosa in fase meno continua. Assumevano ansiolitici e antidepressivi.
So che la Bazzi da ottobre e novembre aveva avuto un aumento dei trattamenti.
Pm: Quanti detenuti segue?
35-40 nel progetto Dars. La maggior parte di questi è soggetta a cure antidepressive.

Avv.Tropenscovino.
In che termini le parlarono dei fatti e della confessione?
Mi dissero soltanto di aver confessato la strage.

Corte d’Assise.
Le hanno mai detto perché si sarebbero accollati una simile responsabilità?
Olindo mi diceva che in questo modo avrebbe diviso la pena con la moglie. Rosa non mi parlò mai di auto accuse.

C: Ha mai segnalato l’opportunità di approfondire il quadro clinico dei due?
Ne ho parlato con la psichiatra, ma senza a dare un input preciso in tal senso.

mercoledì 26 marzo 2008

TESTIMONI DEL 26 MARZO (BALOSSINO)

Nello Balossino, perito difesa, professore di “Elaborazioni di immagini” Università di Torino.
Generalmente sono coinvolto dalla Procure per l’identificazione di soggetti malavitosi.
Dalla difesa dei Romano sono stato incaricato di tracciare una sorta di identikit, partendo dall’esame preliminare degli elementi a disposizione della difesa. In questo caso siamo partiti da alcune dichiarazioni verbali. Noi abbiamo realizzato un identikit. Le fasi iniziali dell’indentificazione (attraverso fotografie) e l’identikit sono comuni. In entrambi i casi viene fatta una scomposizione dei singoli tratti somatici, che vengono poi codificati.
Nel caso dell’identikit è difficile che il teste dia immediatamente una descrizione attendibile del presunto colpevole. La tecnica va via via affinata con modifiche successive. Generalmente non si arriva a un volto certo, ma a un volto che dia indicazioni sull’autore del reato.
Alcuni connotati possono assurgere a connotati salienti e importanti, con valore identificativo elevato. Nel tracciamento dell’identikit mi sono dovuto riferire ai verbali di Mario Frigerio. Nelle sue sommarie descrizioni tre elementi fuoriescono quasi sempre: i capelli corti rasati e portati in avanti, la faccia grossa e la pelle olivastra.
Non ho, dagli atti, indicazioni particolari sugli occhi e sul naso. Frigerio parla di occhi aggressivi, da assassino. Tutti gli uomini, quando devono manifestare rabbia, lo fanno accigliandosi e muovendo la bocca verso il basso. Al canone standard, a cui, ovviamente, non corrisponde la realtà oggettiva, ho aggiunto il colore della pelle olivastra. Mi sono mosso in un’età tra i 35 e i 45 anni. Dai 35 anni ho proceduto a un invecchiamento generale, mettendo rughe in più. L’identikit che ne esce dà un’indicazione ma è a basata soltanto sui pochi elementi forniti da Frigerio.
Gli occhi e il naso sono indicazioni molto importanti in un identikit, ma io non ho avuto indicazioni al riguardo. Ho preso i tratti di Olindo Romano e li ho confrontati con le indicazioni riscontrati nei verbali di Frigerio. Tra Olindo Romano e l’identikit da me tracciato ci sono tratti di incompatibilità.
Nell’interpretazione identificativa ho preso in considerazione due particolari non posticci che determinano incompatibilità tra Romano e l’identikit: il colore della pelle e i capelli.
La compatibilità totale esiste soltanto tra gemelli o sosia.

PM Astori:
Pm: Da chi ha tratto le informazioni?
Dal verbale riassuntivo dell’interrogatorio di Frigerio in ospedale, che ho riportato. Dal fax dell’avvocato Gabrielli del 16 dicembre. E dai verbali quelli integrali.
Pm: Ma se quelli integrali li abbiamo trascritti in questa settimana, chi le ha dato i questi verbali integrali?
Non so. Non ricordo. Non so dirle…
Pm: Lei non si è occupato della corporatura del presunto aggressore?
No, solo del viso. La corporatura robusta non l’ho presa in considerazione.
Pm:Ha preso in considerazione collo e mani?
Non erano oggetto del mio esame, come l’aspetto complessivo del mio esame.
Pm: Se Frigerio avesse parlato di un viso grosso avrebbe dato un’indicazione giusta?
È un po’ generico, ma sostanzialmente corretto.
Pm: Olindo Romano ha un viso grosso?
Olindo Romano ha un viso sostanzialmente grosso.

Avv. Gabrielli.
Gab: è vero che il criterio forense americano preveda almeno 60 punti di riscontro per un identikit?
È vero.
Gab: È vero che avere un contatto con il teste oculare è necessario?
È necessario, ma se il teste oculare ha già dato questo tipo di indicazioni…
Gab: Ha mai avuto un contatto con il teste oculare?
Mai.
Gab: Ha mai chiesto a Mario Frigerio indicazioni sul naso, sul taglio degli occhi, della bocca?
No, mai.
Gab: Conosce lo stato dei luoghi in cui Frigerio ha visto per la prima volta il suo aggressore?
Ricordo che il si parla di un pianerottolo, la dinamica, ma non molto altro.

TESTIMONI DEL 26 MARZO (CARDOGNA, RIZZELLO)

Stefano Cardogna, carabiniere di Erba
Quella sera entrai nell’abitazione dei coniugi e facemmo una perquisizione con prelevamento dei panni nella lavatrice. Terminata la perquisizione domiciliare andammo in piazza del mercato con Olindo Romano e il maresciallo Nesti. Olindo aprì l’auto e noi, senza entrare abbiamo eseguimmo una sommaria perlustrazione dell’auto. Nel bagagliaio avevo notato una tanica. Poi i coniugi furono portati in caserma. Io sono andato in auto con Olindo, seduto sul lato passeggero.


Pacia: avete notato all’interno dell’abitazione dei Romano tracce di sangue?
Visibili no.
Avete notato tracce di sangue all’interno dell’auto del Romano?
Visibili no, ma erano le tre del mattino.

Bordeaux:
A che ora è arrivato nella corte.
Intorno le 9.30 – 10.
Le risultano altre perlustrazioni all’interno dell’auto dei Romano la mattina successiva alla strage?
Ricordo che l’appuntato Moschella aveva sovrinteso a una perlustrazione, ma di altre non ne sono a conoscenza. So che hanno installato impianti per le intercettazioni, ma non ero presente. Presumo che siano stati piazzati nel contesto della perquisizione dell’appuntato Moschella.

Salvatore Rizzello, carabiniere di Erba.
La sera sono entrai e mi fermai subito dopo l’accesso carraio. Rimasi lì pochissimo perché il comandante mi mandò a fare altro quasi subito, poi tornai in via Diaz alle 2.30. In quell’occasione procedemmo con una perquisizione all’interno della casa dei Romano. Non ricordo tracce di sangue. Quando tornammo in caserma la signora Bazzi era in macchina con me. La mattina dopo non partecipai materialmente alla perquisizione dell’auto. Firmai il verbale della perquisizione perché in ufficio presi in carico alcuni oggetti dell’auto: una tanica e due coltelli.

TESTIMONI DEL 26 MARZO (PAIELLA, SECCI, FABRIZI)

Marco Paiella, medico 118.

Sono il secondo medico intervenuto in via Diaz l’11 dicembre. Sono stato fuori dall’abitazione e ho curato il signor Frigerio. Non ho avuto indicazioni sullo stato del bimbo. Per un certo lasso di tempo nessuno è intervenuto sul bambino.

Corte d’Assise: ricorda le condizioni di Frigerio?
Frigerio era grave, ma cosciente, non parlava, ma capiva le mie richieste.



Fabio Secci, agente di polizia penitenziaria.

Nel 2005 feci un rapporto su un colloquio che Marzouk ebbe con la moglie. A un certo punto prese in braccio il figlioletto e pretese di parlare con il direttore per risolvere alcuni problemi. Per tutto il colloquio tenne il bambino in braccio e non lo mollava. Alla fine riuscì ad aver il colloquio e tutto tornò alla normalità.

Corte d’Assise
Qual era il motivo della protesta?
Immediatamente non ce lo disse. Poi sapemmo che voleva essere visitato al Sant’Anna per visite oculistiche. Aveva un problema a un occhio per un trauma subito in precedenza.

Francesca Fabrizi, direttrice del carcere

Ero direttrice del carcere nel 2005. Ricordo alcuni problemi di Marzouk che lo portarono, dopo 2 cambi di sezione, alla sezione isolamento per screzi avuti con altri detenuti. Aveva subito un’aggressione. In seguito a quell’aggressione, malgrado il ragazzo parlasse di una semplice caduta, fu chiaro che si trattò di un episodio violento. C’erano evidenti problemi di compatibilità con altri detenuti. C’erano stati problemi con uno “spesino”. Parlai in seguito con Raffella Castagna che mi parlò di alcune telefonate minatorie che ricevette in quel periodo. Mi sembrava troppa la tensione per un semplice screzio.
Raffella Castagna mi sembrava preoccupata, ma non spaventata. Le telefonate erano nel periodo della detenzione di Marzouk.

martedì 18 marzo 2008

RAPPORTI DI BUON VICINATO

Difesa: Scusi Pm, non è che le avanza per caso un consulente tecnico e un po' di attrezzatura informatica?

Pm: Francamente, no.

TESTIMONI DIFESA DEL 18 MARZO (PISANI)

Federica Pisani. Educatrice carcere Bassone. Dà il consenso alle riprese.

Ho seguito l’imputato Romano nell’intervento di sostegno. Mediamente una volta al mese lo vedo. L’ho visto subito dopo l’arresto. Nel primo colloquio, Olindo Romano ha subito minimizzato: mi ha detto che aveva già confessato, era irruente nel raccontarmi le cose. Ricordo che mi raccontava che veniva visto come il mostro di Erba e che con un po’ di ironia non smentiva. Ripetutamente mi parlò dell’esigenza di una cella matrimoniale. Lui diceva che la pena doveva essere suddivisa equamente in due, perché si eravano già suddivisi le responsabilità di quanto accaduto. Nel tempo il comportamento del Romano si è modificato. È diventato più tranquillo. Non ha mai usato il termine innocente riferendosi alla strage, mi ha detto di non essere salito. Io ho chiesto a Romano di scrivere dei racconti, mi portò due o tre racconti e un fascicoletto di fogli con una serie di segni strani. Lui mi disse: provi a decifrarlo. Ricordo che nei racconti in un titolo c’era una volpe. Una volta uscito dal colloqui, mi sono stati sequestrati i fogli. In seguito Olindo mi disse che aveva scritto ciò che era successo quella sera ad Erba, aggiungendo che era già stato detto tutto.

Pm Astori – Quante volte ha visto il detenuto?
12-13 volte.

Quando le ha detto di non essere salito?
A settembre.

Dopo otto, nove incontri.
Sì, più o meno. Prima non aveva usato quella frase.

Ha aggiunto altri particolari, una volta detto che non era salito?
No.

TESTIMONI DIFESA DEL 18 MARZO (CANTONI)

Ferdinanda Cantoni. Conoscente degli imputati. Non dà il consenso alle riprese (assolutamente).

Conosco i Romano da circa 20 anni. Ci vedevamo frequentemente, ma non nell’ultimo periodo. Mi sembravano assolutamente tranquilli. Parlando in seguito con loro, anche loro pensavano a un regolamento di conti per Azouz. Loro non si sentivano braccati.

Corte D'Assise. Le hanno detto cosa avevano fatto quella sera?
Mi hanno detto in maniera vaga che erano stati a Como e avevano cenato da Mc Donalds.

Le hanno detto che erano stati interrogati in caserma?
Sì mi avevano detto che erano stati sottoposti a un interrogatorio molto lungo.

TESTIMONI DIFESA DEL 18 MARZO (FRANCO FRIGERIO)

Franco Frigerio. Vicino di casa. Dà il consenso alle riprese.
La sera dell’11 ero sul balcone di casa, ho sentito l’odore di bruciato e sentite le sirene sono accorso. Ho visto l’arrivo dei soccorsi e sono rimasto nella corte fino a quando i carabinieri mi hanno allontanato. I carabinieri hanno bloccato tutti dal cancello. Quando sono uscito all’interno della corte c’erano soltanto i soccorritori.
Io ho fatto alcune foto con il telefonino, in una di queste foto sembrava ci fosse raffigurato Olindo Romano.

TESTIMONI DIFESA DEL 18 MARZO (LUCA CASTAGNA)

Luca Castagna – volontario vvf Erba – non dà il consenso alle riprese.

Sono entrato tra i primi nell’appartamento Castagna. Le fiamme uscivano già dalla finestra, il tetto cominciava ad essere intaccato. I miei colleghi hanno messo alcune transenne sul cancello. I carabinieri sono arrivati qualche minuto dopo di noi. Quando abbiamo dato l’ok sono entrati nella palazzina. Non ricordo se sono entrati nell’appartamento Castagna, perché io, una volta svolto lo spegnimento, sono uscito. Abbiamo sfondato un vetro e siamo entrati nell’appartamento al piano terreno per entrare. Non so se sono stati erogati soccorsi al bambino.

Corte d’Assise.
Ricorda se le finestre erano aperte in casa Castagna?
Credo fossero chiuse.

Sulle scale c’era acqua?
Sì, era molta. Era una sorta di strato d’acqua.

E all’esterno, sulla corte?
Non ricordo.

TESTIMONI DIFESA DEL 18 MARZO (CIVATI)

Lorenzo Civati – volontario vvf Erba. Non dà il consenso alle riprese.

Sono entrato nella palazzina tra i primi. L’incendio si propagava per effetto camino su per le scale. Io non ho visto i primi soccorsi del 118. Non sono a conoscenza di operazioni di soccorso sul bimbo. Io il bimbo l’ho trovato e ho solo accertato se fosse ancora vivo. I carabinieri erano presenti, non so se fossero soltanto di Erba. Ho riconosciuto il luogotenente Gallorini. Nell’appartamento al pian terreno alcuni colleghi si sono accertati che non ci fosse nessuno. Non ricordo se una volta arrivati c’era accesa la luce.

Pm Astori: Quale finestra ha aperto?
Ho aperto la finestra dell’abbaino dell’appartamento dei Frigerio. I colleghi stavano bagnando il tetto subito sopra l’abbaino.

Corte d’Assise: tutte le finestre dell’appartamento dei Frigerio erano chiuse?
Sì, le ho aperte tutte io.

Il tetto è stato bagnato completamente?
Non credo tutto.

C’era molta acqua?
Sì, molta acqua. Non ricordo se ci fosse un vero e proprio strato d’acqua sulle scale.

giovedì 13 marzo 2008

TESTIMONI DIFESA (CASTRONOVO)

Calogero Castronovo. Agente polizia penitenziaria. Dà il consenso alle riprese.
Feci un rapporto relativo a Maezouk il 12/12/2005. In quell’occasione aveva tenuto in braccio suo figlio durante un colloquio e non voleva ridarlo alla mamma per parlare con il direttore. Intervenni e lui lo restituì, così parlò col direttore. Azouz aveva avuto problemi con lo spesino della sezione. Aveva accusato lo spesino di aver tagliato la spesa di un egiziano.

TESTIMONI DIFESA (VERBENA)

Paolo Verbena. Vice direttore carcere. Dà il consenso alle riprese.
Azouz ebbe problemi correlati a una questione di spesina. Lo fece per difendere un altro carcerato. Dopo quell’episodio fu trasferito. L'avevano aggredito con l’appellativo di infame. Era stato allocato in infermeria per un trauma all’occhio destro. Azouz era preoccupato per la sua incolumità. Chiese poi di essere trasferito a Milano Opera, ma solo dopo essersi consultato con la moglie. Azouz non temeva di essere ucciso, ma era preoccupato per la sua incolumità. Le motivazioni erano futili.

TESTIMONI DIFESA (VALLI)

Maria Ines Valli. Madre della Calzolari. Dà il consenso alle riprese.
Ero amica di Raffaella dal 2002. La conoscevo benissimo. La accompagnai al Bassone a trovare Azouz. Mi aveva telefonato una volta per dirmi che l’aveva seguita una Bmw scura. Raffaella era un po’ addolorata per il fatto che Azouz fosse in carcere, Sapendo che il marito non stava bene dov’era è chiara che il dolore c’era. So che Azouz aveva litigato in carcere con degli italiani per una spesina, e so che era stato trasferito. Quando accadde l’episodio della vettura devo dire che non era molto preoccupata. Si era spaventata molto di più quando fu seguita dagli imputati. In quel caso era terrorizzata. Sono a conoscenza di moltissime occasioni di minacce da parte degli imputati nei confronti di Raffaella. L’hanno anche picchiata.

TESTI DIFESA (CALZOLARI)

Marta Calzolari. Amica di Azouz. Dà il consenso alle riprese.
Sono la fidanzata del cugino di Azouz. Conoscevo Raffaella. L’ho frequentata anche quando Azouz e suo cugino erano in carcere. So che Azouz era stato trasferito a quel carcere, perché penso che non si trovasse bene. Non so nulla circa minacce. So di una lite in carcere per problemi di spesina. Non so se fosse una litigata o una discussione banale. Non so di minacce subite da Raffaella. So che una volta era stata seguita da una macchina fino alla stazione. Era preoccupata. Succedette qualche mese prima della strage. Mi disse che l’aveva seguita una macchina familiare, di grossa cilindrata.

TESTIMONI DIFESA (VALSECCHI)

Davide Valsecchi. Volontario 118. Dà il consenso.
Sono intervenuto con l’ambulanza del dott. Fazzari. Siamo entrati nella palazzina. Il dott. Fazzari ha ritenuto di dedicarsi al Frigerio inizialmente. Frigerio era sul pianerottolo, come la Castagna. Frigerio era cosciente, non riusciva a parlare ma indicava il piano superiore con il dito.
Ci siamo occupati di trasportarlo da basso, gli usciva sangue dal collo. Indossavamo scarponi con il carro armato. All’interno della palazzina c’eravamo noi, c’erano in vigili del fuoco, c’era Bartesaghi, e in seguito i carabinieri. Quando siamo entrati la prima volta le finestre erano chiuse.

TOCCA ALLA DIFESA

Avv. Pacia.
Vi annuncio, per non essere poi interrotto in seguito, qual è l’obiettivo del mio intervento.
L’obiettivo è di chiedervi la revoca totale dell’ordinanza con cui sono stati eliminati oltre 40 testi della difesa o quantomeno che venga modificata parzialmente per ammettere questo elenco di testi.
Come avete capito certamente vedo che si accingono a intervenire i testimoni della difesa che mi sembra ormai un gruppetto sparuto e con due o tre udienze sarà terminata. Sento già i rintocchi della campana che suona a morto le note degli ergastoli,
Abbiamo deciso di anticipare una discussione che avrei dovuto fare in seguito, ma non posso attendere.
Perché una discussione finale in un processo in cui i diritti della difesa non sono tutelati va necessariamente anticipata.
Al di là delle allucinanti confessioni degli imputati, ecco cosa è successo, secondo gli orari emersi dalla varie testimonianze di questo processo.
19.48 il treno arriva a Erba. Per scendere dal treno e raggiungere l’auto ci vogliono due minuti.
19.50 si arriva alla macchina.
19.55 tempo minimo di percorrenza dell’auto dalla stazione alla cancello della corte di via Diaz.
19.57 tempo minimo perché venga aperto il cancello, si entri nella corte e si salga per le scale con un bambino.
20.00 circa Frigerio sente le prime urla per 5 minuti.
20.05-20.06 cessano le urla e i rumori la moglie di Frigerio esce col cane.
20.21-20.22 rientro della donna dopo la passeggiata.
20.21 inizio aggressione dei coniugi Frigerio, durata: qualche minuto.
20.23 prima salita nell’appartamento alle 20.23 da parte di Glauco Bartesaghi che aveva visto l’orario sul display della tv.
20.24-20.25 erano ormai giunte varie persone: Ballabio, Bartesaghi, i siriani, Monica Mendaci.
Avete sotto gli occhi e nelle vostre coscienze i fatti che scagionano i nostri assistiti.
I coniugi Romano non potevano essere sul luogo del delitto e uscirne senza essere visti da
nessuno. Al contrario Lazzarini afferma che le luci dei Romano erano spente e l’auto dei Romano non c’era.
Come vedete che il processo è ora un vicolo cieco.
Ora i “soloni” della tesi accusatoria dovranno ammettere che il processo doveva essere fatto e non poteva esaurirsi in udienza preliminare.
Se ci sarà data la possibilità, saremo in grado in base ad argomenti scientifici inoppugnabili che i nostri assistiti non potevano essere presenti sul luogo del delitto.
Come l’assoluta mancanza di ogni traccia di sangue nella lavanderia dimostra l’alibi dei nostri assistiti, per questo abbiamo bisogno di provare con i nostri testi fatti e circostanze precisi.
Siamo stanchi di essere il bersaglio silenzioso, sia dentro e soprattutto fuori dall’aula, di questi attacchi. Siamo stanchi di queste aggressioni.
Se il processo è veramente giusto, non può essere celebrato costantemente contro gli avvocati.

martedì 11 marzo 2008

LA MOVIOLA DELLA MOVIOLA

Oggi ne parla anche l’ottimo Pino Corrias su Repubblica. L’autore di “Vicini da morire” firma un fondo titolato “Il processo-fiction e l’effetto moviola”. L’effetto moviola: il grande male di questa vicenda giudiziaria. “Ma è come se il racconto – scrive Corrias nel suo commento – magari per strategia difensiva, o larghezza delle procedure, o troppa ridondanza mediatica, avanzasse tornando indietro, svelasse concatenazioni per poi nasconderle. Certo senza mai scalfire l’essenziale, ma celandolo dietro a un labirinto insieme con il senso”.

IN ATTESA DELLA NUOVA SERIE, SPAZIO ALLE REPLICHE

Non solo “la reiterazione del commento”. Siamo arrivati alla reiterazione della notizia.
Quando non c’è una notizia nuova, eccoci “costretti” a riciucciare roba già data. Trita e ritrita. Come il colloquio di Rosa Bazzi davanti al criminologo Massimo Picozzi e risalente al febbraio 2007, in cui la donna offre una nuova ricostruzione della strage assumendosene totalmente la paternità, negando con forza ogni particolare in grado di avvalorare la tesi accusatoria della premeditazione e cercando la via d’uscita della presunta violenza sessuale all’origine dell’eccidio. La reiterazione della notizia, si diceva. Quella, appunto, del presunto stupro subito da Rosa ad opera di Azouz. Un fatto emerso già a settembre, mai trapelato prima di quel colloquio con Picozzi, e già oggetto di una querela: non quella di Rosa Bazzi nei confronti del ragazzo tunisino, ma dello stesso Azouz, per calunnia. Ma ieri, in aula, con dovuto rispetto per le vittime e per le parti del processo, è stata una noia, al punto che il nuovo movente emerso dal racconto video della Bazzi, “Gli ho uccisi per vendicarmi di Azouz” titola oggi La Repubblica, è andato a riempire le pagine dei quotidiani locali e nazionali.
Roba già vista in abbondanza, come detto, ma che ha a che fare con sesso e sangue, dunque fa brodo. Il perché di questo flash-back del processo mediatico è presto spiegato: il processo giuridico, con la visione del video-confessione, si è bloccato, tornando a una fase delle indagini in cui i difensori dei Romano non erano gli avvocati Pacia, Schembri e Bordeaux, ma il primo legale della Coppia, l’avvocato Pietro Troiano. È bastato che l’avvocato Enzo Pacia chiedesse la visione completa di quel colloquio, con la singolare motivazione che una parte di quel video era stata mandata in onda da Matrix qualche sera prima, per mandare indietro il processo al 27 febbraio scorso, quando fu la stessa Procura a chiedere alla Corte di poter produrre quale prova quella ripresa video e, quindi, di poterne vedere pubblicamente alcuni spezzoni significativi. Insomma, se il processo rallenta in aula, fuori non può farlo.
E allora, in attesa della nuova serie, spazio alle repliche.

lunedì 10 marzo 2008

ROSA VIDEO

Un racconto tra il surreale e il macabro quello inscenato da Rosa Bazzi nel febbraio del 2007 davanti al piemme Massimo Astori e al suo avvocato Pietro Troiano.
La moglie di Olindo Romano torna sugli attimi della strage, raccontando addirittura di un breve colloquio avuto con le vittime immediatamente prima del massacro. Rosa e Olindo avrebbero scambiato qualche parola anche con Mario Frigerio prima di tentare di sgozzarlo.
Ma la parte saliente dell’interrogatorio riguarda un presunto episodio di violenza sessuale subito da Rosa ad opera di Azouz Marzouk. La donna parla quasi con distacco di un Azouz innamorato di lei che non riesce più a trattenersi dal possederla. Descrive un amplesso violento, consumato nell’appartamento dei Romano, “perché era pazzo di me e mi voleva portare nella sua terra”, dice Rosa. Un fatto mai denunciato prima e di cui Olindo Romano non avrebbe mai saputo nulla.

martedì 4 marzo 2008

LA GRANDE SORELLA

È l’Opinione Pubblica il referente primo dei giornalisti della Rai (Alessandro Gaeta e Francesco Vitale) che protestano, con garbo e buon senso, per le restrizioni imposte dalla Corte d’Assise alla trasmissione in tempo reale o in semi-differita del processo sulla strage.

“Se così non fosse stato – scrivono i colleghi in una lettera pubblicata da La Provincia – i cittadini, tutti i cittadini che guardano i telegiornali e che il giorno dopo approfondiscono l’argomento attraverso la lettura dei quotidiani, avrebbero potuto giudicare con le loro orecchie e i loro occhi sia la qualità della testimonianza di Mario Frigerio che la sincerità delle dichiarazioni di Olindo Romano. Una mancanza di trasparenza – aggiungono – che, viceversa, favorisce i mercanti di notizie. […] Spegnendo i registratori, sterilizzando le telecamere, rinviando a dibattimento concluso e quindi sine die la trasmissione dei momenti più vivaci di un processo, si limita il controllo dell’opinione pubblica”.

La Provincia affida la replica a un giudice, comasco, che da tempo si interroga, a vari livelli, su quale possa essere il miglior, o forse il meno dannoso, rapporto tra informazione e giustizia. Giuseppe Battarino nella sua considerazione parte dall’assunto che i due mondi non debbano essere contrapposti, ma dialoganti, e questo è già un buon presupposto. Detto ciò, Battarino scende nel merito dell’ordinanza con cui la Corte d’Assise ha regolamentato le riprese televisive del processo, vietando la messa in onda, fino a sentenza emessa, delle immagini delle parti. Le parti, per chiarezza, nel processo sono un po’ tutti, dal piemme ai difensori, dagli imputati alle parti civili.
Un limite che il Gip lariano di ruolo a Varese definisce “felice innovazione giuridica e pratica, un elevato riconoscimento processuale del valore dell’informazione”.
L’ordinanza “affronta il delicato problema del rispetto delle persone chiamate in aula perché vittime o testimoni, da tutelare rispetto a ogni indebita pressione emotiva e psicologica, ed esclude perciò che l’occhio della telecamera si accenda in diretta. Non un generico buon senso – conclude il giudice Battarino – non un (giuridicamente possibile e più facile) rifiuto; i giudici non sfuggono alla realtà con formule vaghe, ma la affrontano ricordandoci che il processo è il momento in cui le persone si devono rispettare e non esibire, e le passioni si devono placare e non accendere.

Mi vengono un paio di considerazioni:

E’ proprio così vero, come dicono i giornalisti della Rai, che il fatto di poter “giudicare con le loro orecchie e i loro occhi” sia un diritto assoluto del pubblico pagante? O è forse il famoso “effetto moviola” di cui ho parlato qui, che rende tutti, in poltrona davanti alla tivù, allenatori, arbitri e persino giudici?

E poi, è vero che i giornalisti televisivi sono, di fatto, penalizzati dall’ordinanza della Corte rispetto a quelli della carta stampata, ma ciò che viene meno non è forse la dimensione “reality” che ci sta ammorbando con mille programmi e di cui si nutre il sempre meno raffinato gusto dei teleutenti? Che sia questa, insomma, la pubblica opinione di riferimento, più che il cittadino che vorrebbe semplicemente essere meglio informato?

lunedì 3 marzo 2008

IL VIRUS

P.M. Dott. ASTORI – Signora, lei può fare quello che vuole: può parlare o non parlare, e se parla può dire quello che vuole come sempre.

Secondo interrogatorio di Rosa Bazzi del 10 gennaio 2007.

A inizio processo l'avvocato Enzo Pacia aveva dichiarato che le confessioni erano infettate dal virus dell'inattendibilità.

LA DIGA HA CEDUTO

Fermi, ma cordiali. Incalzanti, ma non aggressivi. Decisi, ma non violenti.
Chi si aspettava di trovare negli audio degli interrogatori ai Romano la prova di quel sottile gioco psicologico che, secondo la difesa, avrebbe portato a confessioni forzate da parte degli imputati si è invece imbattuto in una condotta investigativa inappuntabile.
Massimo Astori nel ruolo del poliziotto “cattivo” e Mariano Fadda nella veste di quello “buono” hanno reiteratamente invitato sia Olindo, sia Rosa a dire la verità.
Ovviamente, hanno insistito, chiesto mille volte, ricostruito, ipotizzato, ma senza una parola di troppo nel rispetto della difesa dei due. E nessuno dei magistrati ha mai ventilato l’ipotesi di una pena relativamente lieve in caso di ammissione degli addebiti.
Non a caso, Pietro Troiano, allora difensore dei coniugi, pur presente, non ha avuto nulla da recriminare circa la condotta degli interrogatori.
Sarà la Corte d’Assise ad assegnare il peso definitivo alle confessioni e alle successive ritrattazioni, ma chi oggi ha sentito il racconto di Olindo Romano su come si sarebbero svolti i fatti non può parlare di dichiarazioni indotte.
Alla luce di ciò vanno tra l’altro letti alcuni particolari confessati da Olindo Romano circa la posizione dei cadaveri, la tipologia di armi utilizzate, il colore (giallo/arancione) dell’accendino con cui è stato appiccato l’incendio, la presenza di alcuni oggetti trovati sulla scena del delitto, che nessuno, tranne gli inquirenti, poteva conoscere al momento del racconto poi ritrattato.

PARLA ROSA

Dichiarazioni spontanee di Rosa Bazzi.
Visibilmente provata, si gira verso la Corte, dando le spalle agli avvocati e inizia a parlare.

Voglio fare una dichiarazione spontanea.
Non è facile essere qui. Non saprei, con tutto quello che ho subito di prima e dopo, grazie a una persona che mi ha sconvolto, poi con tutto quello che abbiamo subito dai carabinieri, che io gli chiedevo sempre che non eravamo stati noi e insistevano dal primo giorno che eravamo stati noi. Abbiamo chiesto più di una volta che non era vero e loro dicevano che avevano un sacco di prove contro di noi. Io ho tentato più di una volta di spiegare.
Io e l’Olindo non siamo mai saliti non abbiamo fatto niente, se serve ben poco forse adesso con tutte le dichiarazione che c’hanno detto di dire. Che c’hanno anche fatto vedere le foto com’erano successo quando siamo stati portati in carcere e siamo stati interrogati ce li avevano fatti vedere ancora. Il maresciallo Truzzi lui sapeva tutto quello che succedeva nel cortile e noi, io non l’ho mai conosciuto il maresciallo quello che si è seduto qui, e quella sera lì quelle persone che hanno detto che sono entrate non sono state loro, sono state altre persone, e da quella sera lì è stato un incubo, perché tutti i giorni avevamo i carabinieri in casa. Per un giubbetto credevano che l’Olindo era un cacciatore. Olindo non è mai stato violento, non è vero quello che dice il papà della Raffaella che l’ha preso e l’ha picchiato, perché non è vero. Non siamo criminali. Abbiamo sempre cercato di aiutare, perché quando urlava noi chiamavamo i carabinieri o suo papà, non avevamo così tanto odio per farle del male. Io sono stato che ci hanno detto che se non dicevo quello che dovevo dire non vedevo più l’Olindo, per me è tutto l’Olindo perché mi ha aiutato nei momenti difficili e mi ha aiutato ancora adesso e l’hanno messo su un furgone e non lo vedevo più. Io ho detto: ditemi cosa devo dire che io lo dico, però non portatemi via l’Olindo.
So che non è facile e anche quando venivano i dottori di Milano ci dicevano di andare avanti così a dire così perché c’avevamo un’altra pena. Poi con l’aiuto delle persone del carcere siamo riusciti piano piano ad uscire, perché non siamo stati noi, so che non è facile dimostrare che siamo stati noi, è stata tutta un’altra persona, chiedo solamente di non portarci via e di non allontanarci l’un l’altro. Basta. Ho finito.

giovedì 28 febbraio 2008

OLINDO'S WORDS (O MEGLIO, WORLD)

Interrogatorio in carcere dell’8 gennaio 2007.

Pm Massimo Astori: Signor Romano, si rende conto che lei è accusato di reati per cui resta in carcere tutta la vita?
Olindo Romano: Bene, vitto e alloggio gratis!

ROSA C'E'

In aula il piemme Massimo Astori sta facendo sentire l'audio degli interrogatori integrali dell'8 gennaio. Seguiranno quelli del 10 gennaio, quelli delle confessioni.
Rosa Bazzi sembra particolarmente provata.
Questa mattina è corsa la voce che volesse presentare dichiarazioni spontanee.
C'è stato un consulto con gli avvocati difensori, i quali hanno chiesto che l'esame dell'imputata sia spostato a prossima udienza, dopo colloquio con la psicologa del carcere.

PARLA OLINDO 2

Il 10 gennaio fu il giorno più brutto della mia vita.
Quando vennero i carabinieri mi dissero, si rende conto di cosa avete fatto, cosa è successo… Ma la cosa più brutta fu quando ci dissero cosa ci aspettava. Ci dissero che ci aspettava l’ergastolo, che ci avrebbero separati per sempre. Ma io non potevo sopportare di non vedere mai più mia moglie. Ma, io ho soltanto mia moglie nella vita. Poi mi misero davanti una secondo prospettiva: se fai il pentito, con le attenuanti, tra cinque anni sei fuori. Ero davanti a un bivio. Il maresciallo Finocchiaro per fortuna ogni tanto cessava il suo martellamento, usciva per alcuni istanti. Quando uscì una volta Finocchiaro, all’altro parlai dei dettagli della strage, dell’incendio, delle armi. La cosa brutta era quando tornava Finocchiaro. Continuavamo a parlare delle due prospettive, del pentimento, dell’ergastolo e così…
Passarono due o tre ore. Ero curioso di sapere dove andasse Finocchiaro tutte le volte che usciva. Lo capii soltanto dopo due o tre giorni. Io non lo sapevo, ma in un altro locale vicino c’era mia moglie e stavano facendo la stessa cosa con lei. Mentre mia moglie mi sentiva, Finocchiaro usciva da me e andava da mia moglie, me l’ha detto mia moglie quando abbiamo parlato.
Dopo due o tre ore ero confuso, disperato, con la prospettiva di non vedere più mia moglie, non avevo nessuno a cui chiedere un consiglio, cosa faccio, cosa non faccio, scelsi per il minore
dei mali, piuttosto che non vedere più mia moglie preferivo stare in galera 5 anni. Allora dissi a Finocchiaro: guardi, chiami il giudice, il piemme, chi deve. Ma cosa confessavo? Noi non abbiamo ucciso nessuno! Ma stiamo scherzando? Allora dovevo inventarmi qualcosa. Allora dovevo dire le notizie che avevo raccolto nel mese prima che mi arrestassero. Misi insieme quello che avevo letto, i pettegolezzi e tutto e ho messo insieme una confessione. Arrivò il piemme e entrai io, ma io volevo vedere mia moglie per dirle che cosa avevo deciso di fare. La vidi per cinque minuti, le spiegai le due prospettive. Lei non era tanto d’accordo. Ma lei non era d’accordo: ma Olly – mi diceva - noi non abbiamo fatto niente. Ma i piemme chiamarono mia moglie. Mia moglie entrò confessò lei, ma cos’ha fatto? Si è assunta tutta la responsabilità. Uscita lei entrai io, mi fecero sentire cosa avevo detto mia moglie, io allora feci una cosa automatica, mi assunsi io tutta la responsabilità. Allora i magistrati non erano convinti, perché c’erano cose che non combaciavano. Mi dissero: faccia una pausa e ci pensi su bene. Andai in un altro locale, mi ritrovai Finocchiaro e Cappelletti che mi dissero: se vuoi fare il pentito devi farlo fino in fondo: devi coinvolgere anche tua moglie. Rientrai, ripresi la testimonianza che avevo già fatto e corressi alcune cose. Alla fine della serata firmammo dei fogli, ci fecero sentire le nostre confessioni e finì lì.
Salutai mia moglie e tornammo nelle celle.
Dopo una settimana ci concessero dei colloqui, due ore il giovedì mattina. Visto che avevamo fatto la scelta di fare i pentiti, dovevamo fare i pentiti fino in fondo e le assicuro non è una cosa semplice.
Nel mese di febbraio si presentò il professor Picozzi e mi chiede se posso essere ripreso, gli dico faccia pure. Lì, abbiamo ricalcato la confessione, chiamiamola falsa, perché dovevamo sostenere la tesi dei pentiti. In cuor mio speravo che Picozzi capisse la situazione in cui ci eravamo cacciati, ma invece non capì nulla. Niente, siamo andati avanti a fare i pentiti, anche con la gente in carcre e pensi un po’ lei il disprezzo che avevano verso di noi, perché avevamo confessato di aver ammazzato anche un bambino, ci trattavano come una bestia. Fino a maggio è stato un calvario. Soltanto il cappellano, la psicologa e l’educatrice ci hanno aiutato a capire che dovevamo cambiare l’avvocato, grazie alla psicologa sono riuscito a uscire da uno stato rassegnazione e ritrovare la fiducia in me stesso. Sono stati loro a dirci che questa non era la strada che dovevamo seguire. Allora ho deciso di dichiarare la mia innocenza e ho ripreso la mia dignità, che mi avevano tolto, allora abbiamo deciso di lottare per la verità. Questo, basta! E poi quello che viene viene.


Accetta di sottoporsi alle domande delle parti?
Prima Olindo dice: non avrei nulla in contrario. Poi, invitato a pensarci dice: per questa volta, no!