giovedì 20 novembre 2008

OlINDO PARLA, MA NON DICE NULLA

Olindo e Rosa hanno avuto l’ultima possibilità. E l’hanno sprecata. Hanno avuto la possibilità di ammettere, nemmeno si può pensare a un pentimento, ciò per cui sono stati rinviati a processo, e hanno ignorato, come del resto lungo l’intero processo, quanto chi è intervenuto stava chiedendo loro.Ieri sono stati gli avvocati delle vittime della strage, le cosiddette parti civili, ad aprire la porta per un ultimo spiraglio di dignità. L’ha fatto soprattutto Francesco Tagliabue, non a caso il legale della famiglia Castagna, che nella sua arringa ha chiarito l’unica cosa ancora chiaribile: che nessun risarcimento potrà mai riparare il danno causato. E che l’unica forma risarcitoria, almeno sul piano della dignità, perché la vita dei protagonisti di questa vicenda è totalmente compromessa, poteva essere soltanto un’ammissione di colpa da parte dei coniugi. Un modo per rimettere tutto a posto e per resettare un processo che non sarebbe dovuto essere celebrato. Chi si aspettava da Olindo Romano o dalla sua Rosa Bazzi un rigurgito di umanità è rimasto deluso. Forse, però, nemmeno troppo, visto che l’ipotesi di un ravvedimento da parte dei due imputati accusati di aver trucidato tre donne e un bimbo e ridotto in fin di vita un uomo era, è e, a questo punto, resterà un’ipotesi lontanissima. Olindo Romano, come anticipato dai suoi legali, è, in verità, intervenuto in aula tramite la formula delle dichiarazioni spontanee. Con il suo solito modo surreale di porsi di fronte alla Corte. Surreale sia che lo si pensi colpevole, sia che lo si voglia innocente. Credeteci, la non curanza con cui Romano parla di fatti assurdamente tragici è ancor più agghiacciante dei fatti stessi. Da un innocente diretto spedito verso il carcere a vita e tre anni di isolamento, ci si aspetterebbe, insomma, ben altro atteggiamento. Invece, un manto di indifferenza sembra coprire interamente Olindo, compreso, anzi, soprattutto, quando, con la sua erre moscia e una voce innaturale per un uomo della sua stazza, prende parola e parla. Parla, senza dire. «Niente». Con questa parola Olindo inizia ogni suo periodo. E il quel “niente” è racchiuso tutto il suo totale vuoto, fatto di raccapriccianti, per banalità, puntualizzazioni, servite come piatti freddi, ammalorati, maleodoranti, su una tavola imbandita di orrori. Anche ieri, lo stesso copione già visto mesi fa. Dichiarazioni spontanee a orologeria. Nessuna articolazione di pensiero, semplice rendicontazione stringata, assurdamente concisa e vaga nello stesso tempo, su situazioni che, in realtà, hanno poco a che vedere con ciò di cui si sta parlando. «Niente – ha detto Olindo – ho tralasciato argomenti che vorrei concludere oggi. Tre argomenti: il professor Picozzi, la Bibbia in carcere e gli psichiatri. Niente, su Picozzi voglio dire che era venuto in carcere per farci una perizia psichiatrica. L’aveva mandato l’avvocato di prima, Troiano. Quando arrivò, mi chiese di poter riprendere il colloquio con una videocamera. Una di quelle piccole. Gli dissi che però quel video non doveva andare a finire né sui giornali, né in televisione e lui mi disse che l’avrebbe usato soltanto lui. Ecco, volevo puntualizzare questa cosa. Sulla Bibbia, volevo dire che si posiziona in un contesto in cui io avevo appena fatto una confessione in cui mi ero dichiarato pentito. Di conseguenza, i miei scritti erano in linea con il pentimento. È vero che alcuni scritti sono stati scritti con una punta di rabbia, ma era un modo per sfogarmi. Non erano fatti con risentimento. Non volevo rivendicare proprio nulla. Erano solo uno sfogo e un passatempo, visto che in carcere non si fa mai nulla. Il terzo argomento sono gli psicologi. Me ne hanno cambiati tre e con tutti e tre e ho avuto 50, 60 incontri ma con loro ho sempre parlato solo della terapia, mai dei fatti. Dei fatti ho parlato solo con la psicologa Graziella Mercanti. Di questo e di altri fatti, ma con gli psichiatri solo della terapia.Questi sono gli argomenti che l’altra volta mi sono dimenticato di dire a causa dei miei vuoti di memoria. Mi fermo qui».E lì, per fortuna, si è fermato. Davanti a un’aula basita da quella seconda dichiarazione spontanea fatta da Olindo Romano, senza, in buona sostanza, aggiungere nulla alla situazione sin qui emersa con una chiarezza disarmante. Ieri era la giornata di Olindo e delle parti civili, che hanno chiesto risarcimenti a cui i Romano non potranno mai far fronte. C’è una casa, la loro, che nessuno vorrebbe probabilmente mai comprare e c’è un camper che deve essere ancora pagato. Non hanno altro i due. Ma avanzare le richieste significa per i legali delle vittime guadagnare il diritto di partecipare all’eventuale e scontato processo d’appello.Quindi, lo si fa. Probabilmente, in alcuni casi, mal volentieri. Ma lo si fa. Chi è andato sul concreto, ad ogni modo c’è stato. Come, ad esempio, l’avvocato di Azouz Marzouk , Roberto Tropenscovino, che ha chiesto oltre 2 milioni di euro ai Romano. O come Manuel Gabrielli, legale di fiducia della famiglia Frigerio che ha chiesto alla Corte di mettere in conto una provvisionale immediatamente esecutiva di 320mila euro, per affrontare le spese mediche costosissime a cui Mario Frigerio è sottoposto e costretto. L’uomo, da quanto ha riferito Gabrielli, versa davvero in condizioni tragiche, affetto da un’emiparalisi, ovviamente afflitto da un dolore incommensurabile per la perdita della moglie e mangiato vivo da una sensazione di rimorso dovuta all’incapacità di intervenire, in quella sera dell’11 dicembre 2006, a difesa della amata Valeria. Ed è forse questo, per un uomo che ha dimostrato anche con la sua testimonianza in aula il significato delle parole coraggio e stoicismo, la frustrazione più devastante, in un’esistenza che nemmeno lontanamente potrà riassumere connotati di normalità. Ma le richieste degli avvocati sono destinate a cadere nel vuoto. Materia da assicurazioni, a questo punto.A questo. A questo punto. Dove siamo approdati? All’ultimo capitolo di una storia che sembra durata anni e nel contempo un solo giorno e che ci lascia una triste e macabra consolazione: più la si guarda, più la si analizza, più il quadro si fa chiaro, completo, semmai ce ne fosse bisogno. Una serie di tasselli, ciascuno pesante come un’enorme pietra, è andato gradualmente a comporre un puzzle per nulla complesso, in realtà. Se si esclude la complessità dell’ammettere una simile barbarie. Toccherà al collegio difensivo ora. Lunedì, ha intimato il presidente della Corte, Alessandro Bianchi, l’arringa del collegio formato da Enzo Pacia, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, dovrà iniziare e concludersi. “Ma è troppo poco il tempo a nostra disposizione”, ha obiettato l’avvocato Enzo Pacia che, però, davanti alla proposta di Bianchi di cominciare già ieri nel pomeriggio ha ripiegato sulla settimana prossima.Cosa accadrà lunedì? Facile immaginare che vi possa essere, quale ultimo disperato tentativo della difesa, la richiesta di una perizia psichiatrica per i due imputati. Tentativo disperato perché, oggettivamente, ha scarse possibilità di essere accolto. Quindi, con monitor e quant’altro, anche i difensori insceneranno la loro ricostruzione dei fatti. Spiegheranno, diranno, ipotizzeranno. Dimenticandosi e cercando di far dimenticare, anche se ciò non è possibile, che i due imputati sono in aula e che dalla loro viva voce, in tutto il processo, non è uscito nulla che potesse, in qualche modo, fornire una versione dei fatti alternativa. Qualcosa che rafforzasse quel ragionevole dubbio che sarà per i giudici della Corte d’Assise il parametro su cui dovranno articolare la loro sentenza.

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